Jonathan Dalle Canarie: Il Colloquio di Lavoro Per Chi è Freelance “Dentro”

Creato il 28 novembre 2014 da Sunday @EliSundayAnne

Alla domanda “cosa ci vuole per diventare freelance” (o nomade digitale) a me verrebbe da rispondere in maniera molto banale: devi volerlo.

Devi volerlo “dentro”. Forse è più importante che tu lo voglia “dentro” che esserne consapevoli.

Su internet vanno molto di moda gli articoli del tipo “come fare per” o “quali sono i requisiti per diventare” o “che caratteristiche bisogna avere per”… Anche io ne ho scritto uno: Come Diventare Un Professionista del Web (Marketing).

Articoli che saranno sicuramente molto utili ma non quanto la consapevolezza della banalissima verità che per ottenere una cosa la devi innanzitutto volere, a livello conscio e/o inconscio (meglio ancora se è inconscio!), in altre parole, forse sono più importanti le tue attitudini naturali di qualsiasi tecnica o consiglio che esponga i presunti mezzi per ottenere un fine (sulle tue attitudini naturali leggi anche “9 segnali per scoprire se hai l’animo del nomade digitale”).

 Lo dico perché ovviamente me l’hanno chiesto “come diventare freelance (o nomade digitale)” e lo dico perché ho parlato con diverse persone che dichiaravano di volerlo diventare ma che poi non sembravano voler fare i passi necessari o i sacrifici e le rinunce richieste.

Ci vorrà sicuramente tempo. E una strategia solida (e se non è solida che sia almeno flessibile). Ma alla fine, se lo vuoi, ce la farai.

Come aveva illustrato Steve Jobs nel suo famosissimo discorso ai neolaureati di Stanford, a volte si riesce a “unire i puntini” solo dopo anni che abbiamo passato a fare diverse esperienze apparentemente scollegate tra loro.

In qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire -Steve Jobs

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E così, proprio riflettendo sulle attitudini naturali e sulla visione d’insieme che si coglie solo guardando indietro alle nostre esperienze fatte diverse anni prima, mi accorgo che ad esempio in tutti i colloqui di lavoro che ho fatto in qualche modo c’era l’indizio di quello che avrei fatto oggi.

Il primo colloquio

Il primo colloquio di lavoro nel web aveva già la promessa di un lavoro da remoto: 3 mesi di formazione in azienda e poi liberi di lavorare da casa. Me ne vado a lavorare ai Caraibi, pensavo io. Ma non era vero niente. Alla fine ci hanno tenuti tutti lì in azienda.

Ma come primo colloquio di lavoro è andato bene: mi hanno preso. Con un ridicolo contratto a progetto, ma “lascia fare”, era la mia prima esperienza ufficiale nel web e dovevo farla.

Questo primo lavoro comportava già un primo spostamento di 400 kilometri… e anche questo era solo l’inizio!

Secondo me mi hanno preso perché (lasciando perdere le varie qualifiche accademiche) gli avevo portato già qualche lavoro fatto: quei 3 sitarelli che avevo realizzato da solo per 3 aziende di mia conoscenza, siti curati con passione comunque, uno dei quali lo avevo fatto possiamo dire “pro bono”.

Il “selezionatore” mi si apre a parlarmi dei suoi siti, dice che ne ha fatti 100 e lo guardo un po’ sorpreso, un po’ ammirato.

Ma come? Sono lì che vengo a fare un colloquio di lavoro, sono io che sono passibile di una selezione, sei tu che hai il potere in mano… e ti metti a fare a gara a chi è più bravo?

Ma la cosa deve aver giocato a mio favore, il mio interesse era autentico e questo mio responsabile deve aver pensato di trovare gratificante insegnarmi quello che sapeva. Infatti così è successo.

Dopo 9 mesi me ne sono andato perché in totale disaccordo con le politiche aziendali (e sul trattamento di clienti e “impiegati” da parte della direzione).

Ho passato circa 6 mesi ad esplorare – alla cieca - la possibilità di mettermi in proprio, e nel frattempo buttavo l’occhio alle opportunità che mi poteva offrire il mercato del lavoro.

Come ti vedi fra 10 anni?

Avevo fatto almeno 4 ore di strada per fare questo colloquio. Era diviso in 2 parti: la prima parte con il responsabile tecnico è andata bene. Sapevo il fatto mio.

Poi arriva il colloquio con la responsabile delle risorse umane che inizia a farmi una serie di domande da responsabile delle risorse umane, appunto.

Domande tipo “quali sono i tuoi migliori pregi”, “quali sono i tuoi peggiori difetti”…

A quest’ultima domanda probabilmente dovresti rispondere:

- sono troppo precisino;

- tendo a lavorare troppo e a trascurare altri aspetti della mia vita;

- preferisco dar ragione al mio capo piuttosto che ostinarmi sulle mie posizioni*.

*cari responsabili delle risorse umane, non prendetevela: si scherza!

Mentre ora mi piacerebbe rispondere in tutta onestà:

- sono totalmente disorganizzato;

- non sopporto di lavorare in compiti che mi sembrano inutili o non etici o semplicemente poco entusiasmanti;

- quando sono stanco preferisco mollare tutto e fare una siesta.

Ad ogni modo queste domande mi mettevano in evidente difficoltà e l’atteggiamento poco empatico e piuttosto annoiato della persona che mi stava di fronte non aiutava di certo.

Alla fine dell’interrogatorio crollo e alla domanda “come ti vedi fra 10 anni” confesso con rassegnazione:

- “freelance“.

Ovviamente non mi hanno preso.

Ma l’esito è stato senz’altro illuminante anche per me.

Seconda agenzia

Ero lì che esploravo la possibilità di diventare freelance senza sapere esattamente come fare quando mi ritrovo l’opportunità di lavorare con un’agenzia seria e con un professionista rinomato nel mio settore. Solo una cosa poteva essere più importante del mio desiderio di indipendenza: la possibilità di imparare, di crescere professionalmente, di fare esperienza.

A questo colloquio stavolta non mi hanno chiesto come mi sarei visto dopo 10 anni. E infatti mi hanno preso.

E mi sono pure trovato bene in questa seconda agenzia! Tanto che quasi mi preoccupavo: dove erano finite le mie ambizioni da freelance, il mio desiderio di indipendenza?

Ma ogni cosa a suo tempo, c’era ancora un passo da fare: l’Australia! Forse, considerando che dopo un anno che ho lavorato con loro li ho “mollati” per andare all’avventura dall’altra parte del mondo… avrebbero fatto bene a chiedermi “come ti vedi fra 10 anni”.

Ma ho la presunzione di pensare che questa azienda sia cresciuta con me e grazie a me nella stessa misura in cui io sono cresciuto con loro e grazie a loro.

Questo era un po’ il periodo in cui ho provato a fare il “bravo”, a fare quello che il sistema di pressioni sociali sottilmente si aspetta che facciamo, a dare una chance a quello stile di vita diffuso che di solito viene considerato “normale”. C’era evidentemente qualcosa che non tornava (racconto la vicenda qua: Come Sono Diventato Un Nomade Digitale).

In Australia

Durante i primi mesi che frequentavo la mia bella scuola di inglese a Sydney (di nuovo: imparare, investire su se stessi) ho provato a fare qualche colloquio con alcune agenzie di recruitment. A quel punto l’obiettivo non era più diventare freelance, ma rimanere in Australia trovando possibilmente un lavoro nel mio settore, un lavoro da dipendente che mi garantisse un visto decoroso.

Invece, con un trucco degno della mia professione, riesco a trovare solo un lavoro da contractor (a “partita iva”) che mi vedeva costretto a scendere a compromessi con l’immigration (fare un visto studente, iscrivermi ad una scuola ed essere obbligato a frequentarla).

Ma è stato perfetto così, perché questo lavoro da contractor, occupandomi a volte full-time, a volte neanche part-time, mi ha incoraggiato a trovare altre fonti di reddito, ovvero altri clienti… online!

Nei miei 4 anni in Australia ho ricevuto poi diverse telefonate dalle agenzie di recruitment, alle quali rispondevo sempre più con minore entusiasmo: alla fine mi stava andando bene così, anche se dovevo andare a scuola diverse ore a settimana. Avevo la mia agenzia e avevo i miei clienti che mi sarebbe dispiaciuto molto abbandonare.

Solo una volta si era presentata questa possibiltà di lavorare in un’agenzia importante con un grosso nome internazionale, uno di quelli che firmano libri sul SEO, etc…

Forse sarebbe stata una grandissima crescita professionale (senza contare lo stipendio invidiabilissimo di un professionista in Australia).

Ma nel frattempo nuove idee stavano emergendo: la Thailandia e il nomadismo digitale.

Ero veramente combattutto. Come mi vedevo meglio? Come “animale aziendale” o a fare il nomade digitale in Thailandia?

Nel dubbio… non mi hanno preso. Non che abbia espresso i miei dubbi al colloquio, ci mancherebbe, ma l’insicurezza su quello che si vuole fare veramente viene secondo me trasmessa a livello inconscio ai nostri interlocutori… e viene percepita con sospetto.

L’ultimo colloquio

L’ultimo colloquio che ho fatto in Australia (e nella mia vita) mi ha lasciato felice e orgoglioso di me stesso e delle mie scelte.

Appena ricevuta la telefonata ho messo subito le cose in chiaro: “io sto per partire per la Thailandia”. Mi hanno voluto vedere lo stesso.

E io ci sono andato, più per preparare un piano B che per altro: nelle incertezze della vita da freelance fa sempre piacere sapere che alle brutte c’è sempre qualche possibilità. Ti dà il coraggio per fare scelte sempre più audaci, quindi andare a quel colloquio era in un certo senso “psicologicamente strategico”.

Al colloquio dopo i vari rituali nei quali illustro cosa faccio e quanto bene lo faccio, spiego qual’è il mio piano: andare in Thailandia ed esplorare la vita nomade digitale, casomai qualcosa fosse andato storto sarei (forse) tornato.

L’intervistatore approva il mio piano (!), mi fa promettere di rifarmi vivo se fossi tornato e considerando il fatto che posso lavorare da dove mi pare mi fa un bel sorriso sincero e se ne esce con un:

“you have a good life”

E questa semplice frase mi ha dato un sacco di forza, me la ripetevo come un mantra tornando a casa e sorridevo: mi indicava con assoluta certezza che, nonostante i dubbi, le resistenze e le paure (che ci sono prima di fare un cambiamento del genere), stavo facendo la mossa giusta.

Una semplice frase che celebrava un percorso iniziato 6 anni prima e a 20000 kilometri di distanza e che esprimeva quello che secondo me dovrebbe essere il senso del lavoro per tutti noi: non soldi fine a se stessi, non carriera, non costrizioni, non capi, non sottoposti… ma il mezzo che ci permette di vivere una “good life”.

Ricominciamo da capo

Perché dovresti fare un colloquio di lavoro se ti senti un freelance “dentro”?

Dovresti farlo secondo me se ti trovi in una di queste condizioni:

- ti manca l’esperienza di un professionista

Non si diventa professionisti dall’oggi al domani e anche a me, dopo 9 mesi nella mia prima agenzia, mancavano le competenze, l’esperienza e la sicurezza necessarie ad affermarmi efficacemente sul mercato.

- non hai un tuo network di clienti

Un network di clienti si costruisce con il tempo, ci sono modi per accelerare questo processo (ad esempio facendo una campagna di online marketing) ma ci vogliono comunque tempo e risorse. Io ci ho messo quasi 4 anni se si calcola il momento che sono diventato contractor in Australia (ma ho ricevuto clienti anche da contatti instaurati anni prima).

Quindi se ti trovi in una di queste condizioni allora non sarà una rinuncia ripiegare temporaneamente in un lavoro dipendente. Sarà piuttosto una scelta strategica: una volta acquisite competenze, esperienza, sicurezza, risorse e la base di un network in via di sviluppo… allora il momento di fare il passo arriva.

Qualcuno di recente mi ha confidato: “Sono molto interessato a diventare un nomade digitale, ma ho paura, sono un codardo”.
Gli ho risposto di cuore: “se hai una tua base solida di clienti (o di progetti online) che ti permette il livello minimo di sussistenza per qualche mese è una questione di coraggio… altrimenti ci vuole una strategia”.

E come comportarsi al colloquio?

Ci sono senz’altro ottime guide su internet (che iniziano con “vai a letto presto e metti la sveglia in anticipo”!).

Ma queste sono guide per futuri dipendenti, non per freelance “dentro”.

Come freelance “dentro” mi piacerebbe invece darti questo consiglio:

Sii te stesso. Sei un freelance “dentro”, una persona competente che non ha paura di imparare

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- Sei una persona brillante che affronta i compiti con passione e che può fare la differenza all’interno di un’azienda.

Se vogliono una persona brillante ti prenderanno, se vogliono una persona “fedele” saranno loro a perderci.

Ma se alla fine ti chiedono “come ti vedi fra 10 anni” non rispondere “freelance”.

Rispondi così:

“Come una persona che ha avuto le sue soddisfazioni nella vita, che ha fatto spesso la differenza nelle persone che ha incontrato e che può essere fiera di aver fatto crescere l’azienda in cui ha lavorato”.

DISCLAIMER: ovviamente non ho le competenze per darti consigli su come affrontare un colloquio di lavoro, questo articolo vuole essere un incoraggiamento e un omaggio al tuo essere freelance “dentro”, un invito al sentirti meno solo e meno “sbagliato” nei momenti di dubbio.
Soprattutto quando le persone intorno a te ti prenderanno per pazzo perché rinuncerai ad un contratto a tempo indeterminato per andare a fare il nomade digitale in Thailandia o alle isole Canarie.

Quel giorno ricordami di darti il “Benvenuto tra noi!”

//

Jonathan Pochini ha iniziato il suo percorso nel web nel 2006 a Firenze, passando per un paio di agenzie web e un primo timido tentativo di mettersi in proprio. Dopo aver rinunciato alla prospettiva di un contratto a tempo indeterminato se ne è andato in Australia alla ricerca di “una botta di vita”. Doveva starci 4 mesi e invece c’è rimasto 4 anni. Ha sviluppato la propria rete di clienti online e, dopo alcuni esperimenti di lavoro da remoto, ha deciso di esplorare full-time lo stile di vita nomade digitale. E’ partito a Febbraio 2013 alla volta della Thailandia e oggi si trova alle Canarie, dalle parti del “miglior clima del mondo”.

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