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Jonathan Franzen sull'imprenditorialità

Creato il 10 luglio 2013 da Nicolamisani
Ho incontrato questo utile episodio in Libertà di Jonathan Franzen, che leggevo per diletto.
Qualcuno, forse la stessa Carol Monaghan, pagava la retta di Connie in una piccola scuola privata cattolica, la St Catherine's, dove le alunne portavano l'uniforme e avevano il divieto di indossare gioielli, tranne un anello ("semplice, solo metallo"), un orologio ("semplice, niente di prezioso"), e due orecchini ("semplici, solo metallo, lunghezza massima un centimetro"). Il caso volle che una popolare allieva di prima alla Central High, la scuola di Joey, tornasse da una gita di famiglia a New York sfoggiando un orologio dozzinale che suscitò un'enorme ammirazione in mensa, con un cinturino giallo dall'aria masticabile sul quale il venditore di Canal Street aveva termoimpresso, su richiesta della ragazza, una minuscola scritta in plastica rosa confetto tratta da una canzone dei Pearl Jam: DON'T CALL ME DAUGHTER. Come lui stesso avrebbe in seguito raccontato nelle domande di iscrizione al college, Joey aveva subito intrapreso una ricerca sul rivenditore all'ingrosso dell'orologio e sul costo di una termopressa. Aveva investito quattrocento dollari dei suoi risparmi nell'attrezzatura, fornito a Connie un cinturino campione (READY FOR THE PUSH, c'era scritto) da esibire alla St Catherine's, e poi, impiegandola come corriere, aveva venduto orologi personalizzati a più di un quarto delle sue compagne di scuola, a trenta dollari l'uno, prima che le suore mangiassero la foglia ed emendassero il codice di abbigliamento proibendo anche i cinturini con le scritte impresse. Cosa che, naturalmente - come raccontò Patty alle altre mamme -, Joey considerò un sopruso.
- Non è un sopruso, - gli disse Walter. - Ti stavi avvantaggiando di una limitazione artificiale della concorrenza. Non ti ho mai sentito lamentarti delle regole, quando funzionavano a tuo favore (Libertà, Einaudi, p. 16, pdf delle pagine precedenti).
L'episodio contiene almeno due insegnamenti:
  1. il talento imprenditoriale esiste, ce l'hanno le persone che vedono un'opportunità che è sotto gli occhi di tutti e hanno la fantasia, la venalità e la voglia di lavorare che li porta ad approfittarne; è un talento perché queste persone sono poche, la media degli esseri umani non sente piacere a prendere iniziative, o si vergogna di cercare un profitto, o si ammoscia quando pensa alle difficoltà pratiche dell'intrapresa; forse questo talento comprende un certo intuito nel capire che un prodotto potrebbe vendere, o forse chiamiamo imprenditori gli avventati che hanno la fortuna di azzeccarci e gli altri li chiamiamo sciocchi;
  2. le opportunità nascono da una domanda insoddisfatta, e soddisfarla è un merito dell'imprenditore, un trionfo del mercato, ma a volte la domanda è insoddisfatta perché i governi le impediscono sfoghi più naturali; così l'imprenditore non è sempre il distruttore creativo che si immaginava Schumpeter, può anche essere un alleato della conservazione; e infatti sentite i liberisti parlare sempre delle libertà delle imprese e poco delle libertà delle persone.
Nicola Misani su Twitter: Segui @nicolamisani

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