Autore: Stephen King
Titolo originale: Joyland
Genere: Mystery, Thriller, Ghosts/Horror
Editore: Sperling & Kupfer
Pagine: 350
Prezzo: € 19,90
Estate 1973, Heaven’s Bay, Carolina del Nord. Devin Jones è uno studente universitario squattrinato e con il cuore a pezzi, perché la sua ragazza lo ha tradito. Per dimenticare lei e guadagnare qualche dollaro, decide di accettare il lavoro in un luna park. Arrivato nel parco divertimenti, viene accolto da un colorito quanto bizzarro gruppo di personaggi: dalla stramba vedova Emmalina Shoplaw, che gli affitta una stanza, ai due coetanei Tom ed Erin, studenti in bolletta come lui e ben presto inseparabili amici; dall’ultranovantenne proprietario del parco al burbero responsabile del Castello del Brivido. Ma Dev scopre anche che il luogo nasconde un terribile segreto: nel Castello, infatti, è rimasto il fantasma di una ragazza uccisa macabramente quattro anni prima. E così, mentre si guadagna il magro stipendio intrattenendo i bambini con il suo costume da mascotte, Devin dovrà anche combattere il male che minaccia Heaven’s Bay. E difendere la donna della quale nel frattempo si è innamorato.
Gli ultimi romanzi del Re mi hanno sempre lasciata perplessa e Joyland non fa eccezione. C’è qualcosa che non mi torna più, in King. A partire da Cell: un romanzo che è tutto un pasticcio dall’inizio alla fine, imho. Con Duma Key mi era sembrato che avesse finalmente ritrovato il sentiero di mattoni gialli — schizzati di sangue. Poi altra flessione verso il basso con 11/22/’63. Ma siccome non posso dire che quest’ultimo fosse un romanzo brutto, quando in libreria ho visto una parete intera foderata con Joyland ho seguito il richiamo della sirena e l’ho comprato sulla fiducia, tutta in festa, perché il Re è il Re e torna sempre.
E adesso, come dicevo prima, sono perplessa.
Joyland è certamente un romanzo interessante.
No, non posso definirlo bello. Però la malinconia, la tristezza, il dolore e la dolcezza di cui è pervaso me lo hanno fatto sentire come qualcosa di mio. E il protagonista, Dev, mi ha conquistata: fa tenerezza, così giovane e con il cuore spezzato; mi ha ispirato anche simpatia, per fortuna mia, perché a parte il suo ascoltare musica da cimitero non è uno strazio di innamorato ferito, anzi: ha la battuta pronta, in qualche modo reagisce, si dà da fare. Ho pure sghignazzato alle sue spalle, povero ragazzo!, per quel suo disperato desiderio di “farlo”. Insomma, Dev è un buon personaggio e fa quello che deve egregiamente: fa breccia in chi legge. Non tutti, imho, sono alla sua altezza. E devo anche constatare che il Re i personaggi continua a riciclarli. Ma ci tornerò più avanti.
Per quel che mi riguarda, un aspetto del romanzo che ho amato tantissimo è stato il modo in cui King ha mostrato la vita dietro le quinte di un parco dei divertimenti, sfruttando il punto di vista del pivello. Anche senza il mistero sovrannaturale da risolvere, Joyland è un posto magico.
Per la verità, penso che lo sia molto di più proprio finché lo spettro di Linda Gray se ne sta dimenticato nel Castello degli Orrori.
Non so che dire, ma se da una parte King riesce a tratteggiare protagonisti sempre più coinvolgenti, dall’altra sembra anche che l’orrore lo abbia quasi stancato — a meno che non si tratti di tirare fuori quel lato oscuro che abbiamo dentro. Lì il Re resta insuperabile. Piuttosto, è quando l’orrore è una scheggia di vetro che ferisce all’improvviso, da fuori, che mi dà tanto l’impressione di… annoiarsi. A pagina 200, mentre già da un pezzo mi ero affezionata a Dev e sognavo di scappare a fare la giostraia, mi chiedevo quando il Re avesse intenzione di andare a parare da qualche parte con la storia dello spettro. E quando, alla fine, ci è arrivato, ho pensato d’essere stata un attimino presa per il fondo dei pantaloni. Perché okay, questo non è un romanzo dell’orrore — né interiore né esteriore (a conti fatti): questa è la storia dell’estate fantastica in cui un ventunenne divenne un uomo. Ma se inserisci comunque l’elemento sovrannaturale… be’, visto che sei King non puoi scarrozzarmelo per 350 pagine e risolverlo con un puff! Fantasma liberato, ciao ciao.
E quindi, per me Joyland è un bel romanzo finché si sofferma su Dev e sul parco dei divertimenti. Mentre ha un gusto stantio quando include Linda Gray e Mike. Che sembrano davvero dei corpi estranei, come due spine.
E, a proposito, ecco: Mike.
King non ci sa proprio fare con i personaggi ragazzini. Credo che Jake Chambers e i Perdenti siano stati qualcosa come meteore di passaggio: impossibile riacchiapparli.
Il modello-Mike è lo stesso del modello-Jordan in Cell: ragazzini (rispettivamente dieci e dodici anni) così svegli da far sembrare gli adulti dei perfetti imbecilli. Che può starci, per carità.Così svegli da prendere nelle loro mani le sorti della storia. Se non che, questi ragazzini sono talmentetroppo svegli da darmi la sgradevolissima sensazione di avere a che fare non con personaggi/persone ma con piccoli robot perfettamente programmati per fare quello che devono: risolvere la situazione o spianare la strada affinché possano farlo gli adulti. Li trovo finti. Sicché avevo detestato Jordan inCell e, purtroppo, non ho amato Mike in Joyland. Peccato. Perché, a differenza di Jordan, Mike ha un background. E risulta simpatico. E poi, ha un cane.
Insomma, alla fin fine, Joyland finirà tra quei romanzi non memorabili che troveranno posto sullo “scaffale del Re” giusto perché sono suoi e lì resteranno a prendere polvere, mentre altri verranno riletti, sfogliati, riletti, riletti, riletti…