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Juraj occhi di bosco – prima parte

Da Francibb @francibb

Juraj aveva occhi di bosco. Gliel’aveva detto quel pomeriggio d’estate. A gesti.
Juraj i boschi non li aveva mai visti ma le sorrise, sotto il naso inzuccherato, con i suoi denti storti ancora da finir di crescere in una bocca troppo grande, zeppa di palacinka e caffè d’orzo, nella cucina della nonna Duška. Lui conosceva tutti i colori del mare, il colore delle agavi e dei pini marittimi. Dei boschi di Hannah non conosceva che i disegni su un vecchio libro dello zio Dragan scritto in cirillico dove c’erano anche Cappuccetto e il Lupo.

- Vuk.
- Wolf.
- Šuma.
- Wald!

Juraj aveva portato con sé quel libro, all’appuntamento alla pescheria del castello.
Quei pensieri avevano fatto compagnia ad Hannah per tutta la strada. Un lungo viaggio senza parole. Dalla notte fresca della casetta nel bosco di Cappuccetto, al sole rovente e senza ombre sul palazzo di Diocleziano. Hannah fermò la grossa auto e tirò giù il finestrino per pagare l’autostrada. L’inferno entrò nell’abitacolo condizionato cuocendole la camicetta addosso. Gitte ed Elsabe, sedute dietro di lei, appena l’auto lasciò l’autostrada, iniziarono ad elettrizzarsi. I cartelloni pubblicitari, i palazzoni, le indicazioni: leggevano tutto ad alta voce, strattonandosi, indicando quello e quell’altro, scoppiando in acuti di sorpresa.
Il caos del traffico di Spalto, le risa delle bimbe. Si accorse di sentire il cuore in petto.

Juraj occhi di bosco – prima parte

Spalato - foto di Andrea Gaspardo

C’era stata molti anni prima a Spalato, appiccicata di sudore al sedile in sky del pulmino verde pistacchio del padre, in mezzo a vestiti, una tenda in cotone, pastiglie di colore e una chitarra. Vi erano arrivati per la Jadranska Magistrala, viaggiando per due giorni, dormendo in pulmino. Ma loro ora avevano impiegato pochissimo tempo: l’autostrada le aveva portate fino lì in poco più di otto ore.
Avrebbe voluto cullarsi nel ricordo dei lunghissimi capelli di sua madre, accoccolata sul muretto di pietra bianca del molo di Spalato, mentre suonava per i passanti, e di lei bambina che ballava roteando, scalza. Avrebbe voluto ricordarsi il calore della pietra della Brazza sotto i suoi piedi nudi e il rumore dei dinari che cadevano dentro la gamella di latta, ma sbagliare strada in quel momento l’avrebbe sepolta in un termitaio di macchine, camion e furgoni.

Volse la testa verso la madre.

- Mamma per piacere, guarda anche tu, dobbiamo andare verso i ferry-boat.

Non ottenne risposta. Le bimbe urlarono sbracciandosi per farle vedere l’insegna di qualche negozio conosciuto e sua madre continuò a guardare davanti.
La strada scendeva sempre di più, le macchine correvano cambiando repentine le corsie, in una sorta di slalom sfrenato, tagliandole la strada per superarla ai semafori.

- Il mare nonna! Mamma, nonna!

Hannah ora aveva il cuore in gola. Oramai erano in centro città e non aveva visto un’insegna che indicasse il porto, quando un insperato, enorme traghetto ormeggiato, con la scritta blu “Jadrolinija”, le indicò la strada giusta. Svoltò lontano dal caos e si diresse verso quella fortezza ormeggiata, sicura e tranquillizzata, fintantoché non trovò un uomo che la fermò.
Da sotto un chepì bianco e blu, calcato bene sugli occhiali scuri, un esercito di denti candidi chiese senza domanda:

- Ukrcaj kartice.

Hannah s’irrigidì guardando davanti a sé. L’uomo si sporse per vedere oltre il cofano della macchina. Si rivolse nuovamente a lei con un “bordkarte, bitte” e un sorriso. Hannah non rispose e si passò gli incisivi sul labbro, lui chinò verso di lei. Le spiegò che avrebbe dovuto prendere prima il la carta di imbarco e poi avrebbe potuto tornare per parcheggiare l’auto nelle file che si stavano formando per entrare nel traghetto. Sorrise a Gitte ed Elsabe e arricciò il naso in una smorfia che fece ridere Elsabe. La bambina si coprì gli occhi e la bocca con entrambe le mani, continuando a guardarlo nascosta dietro le dita.
Hannah innestò la retromarcia e iniziò a indietreggiare lentamente. Stringeva impacciata il volante di quell’auto troppo grande. La macchina che era stata di suo padre, ma che da qualche settimana era diventata sua. La madre le aveva chiesto di portarla via da casa sua.

- Hannah? – la chiamò la madre, facendo poi un lieve gesto con la testa per indicare davanti a sé.

L’uomo con il chepì stava correndo leggero verso di loro con una mano alzata e il palmo teso. Quando le raggiunse Hannah lo vide muovere delicatamente le grandi mani nell’aria, in una sorta di solfeggio, indicando le manovre da fare per poter retrocedere fino a uno slargo. Elsabe sganciò la cintura di sicurezza, si mise in ginocchio e tirò giù il finestrino. Hannah, che guardava negli specchietti retrovisori con frenesia, scartando a destra e a sinistra, vide la figlia sporgersi con tutto il busto dal finestrino posteriore.

- Elsabe siediti! – sibilò.

Parcheggiò e scese dall’auto, accesa in viso e scomposta, chiuse la portiera della macchina che riaprì immediatamente dopo per farsi passare la borsa che Gitte le stava porgendo dai sedili posteriori. Gitte sapeva che quello non era il momento di dire null’altro, ma la piccola Elsabe non vedeva l’ora di scendere da quella gabbia di latta e cominciò a gnaulare cercando di farsi accordare una breve camminata. Il battibecco che ne seguì inchiodò la piccola che serrò la bocca e le orecchie fra le ginocchia delle sue gambe magrissime e nude, tenute strette in un groviglio di braccia.
Hannah impiegò parecchi minuti a fare la fila nelle agenzie di emissione, e quando si incamminò per ritornare verso la macchina, l’uomo era ancora là, con gli occhiali tenuti in bocca per una stanghetta, sembrava ascoltare qualcuno parlargli attraverso il finestrino. Li raggiunse svelta, guardò le bambine, guardò lui che la salutò toccandosi la tesa del chepì, gli fece un cenno secco di risposta con il capo, e risalì in auto.

- Che cosa voleva?
- Ma niente, parlava con Elsabe – le rispose la madre guardando fuori dal finestrino.
- Che non abbia proprio nient’altro da fare che parlare con due bambine? E tu perché gliel’hai permesso?

Continua – Juraj occhi di bosco – seconda parte


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