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#JustineLandedYet, ovvero come ti stronco una carriera con un tweet

Creato il 30 dicembre 2013 da Taccodieci @Taccodieci
Qual è il primo significato dell'uso dei social network? Per tanti sono una insostituibile valvola di sfogo.
Nascono come gioco, ma in una vita caotica, nella quale per troppe ore al giorno dobbiamo fingere di essere brillanti, simpatici, a tratti geniali e socievoli con tutti, diventano anche un luogo virtuale (ma mica poi tanto) nel quale essere finalmente noi stessi. Perchè una pentola a pressione, se lasciata sul fuoco, scoppia, e scoppia decisamente più in fretta se non ha una valvola dalla quale sfiatare la pressione accumulata.
Lo sa bene ad esempio @vitainufficio, che raccoglie ogni giorno su twitter gli sfoghi di centinaia di lavoratori arrabbiati e frustrati che per ovvi motivi non possono in altri modi dire la propria.
Io credo che in tanti tra voi che leggete abbiate un blog, un profilo facebook e/o un account twitter: scrivere ]@##@t€ è bello, è liberatorio e, se fatto nel rispetto di chi ci circonda, incarna anche il sacrosanto diritto di essere stupidi quando ci garba esserlo.
Diffondere la propria opinione in rete sta diventando tuttavia ogni giorno più complesso e pericoloso.
Lo sa bene ad esempio Justine Sacco, (ex) manager della InterActiveCorp.
Al gate, di partenza per il Sudafrica, aveva twittato un commento razzista e, manco il tempo di atterrare, era già stata licenziata.
#JustineLandedYet, ovvero come ti stronco una carriera con un tweet
"È un commento vergognoso e offensivo che non riflette il punto di vista e i valori di IAC. Sfortunatamente, il dipendente in questione è irraggiungibile su un volo internazionale, ma è una questione molto seria e stiamo prendendo le iniziative appropriate", hanno spiegato immediatamente i datori di lavoro di Justine.
Il risultato è stato che si è imbarcata una manager ed è scesa dallo stesso aereo una disoccupata.
Ok, il tweet fa oggettivamente schifo (e sorvolo su eventuali commenti su coloro che invece lo hanno messo tra i preferiti). Justine se lo poteva risparmiare, poteva cucirsi la bocca, poteva anche fare a meno di andare in  Sudafrica se le causava tanta noia e/o trovate voi l'alternativa che vi aggrada, tanto ce ne sono a bizzeffe.
Ma può essere una persona licenziata per qualcosa che riguarda il suo atteggiamento in rete e, in definitiva, i fattacci suoi?
Che il tweet di Justine non rispecchi la filosofia della sua azienda me ne rallegro, ma con quante persone razziste, omofobe, misogine o più semplicemente stupide lavoriamo ogni giorno? Con quante la cui amicizia su facebook è stata data più per quieto vivere che per reale condivisione delle [@##@t€ che scrivono? Potrebbero tutte queste persone essere licenziate per eccesso di cretineria?
Non so voi, ma questo Grande Fratello che ci osserva sui social e che usa quello che scriviamo contro di noi mi inquieta.
Justine, mentre era in volo, ha raggiunto l'obiettivo di diventare una celebrità online, è stata processata, è stata condannata, non ha avuto alcuna possibilità di replica ed è scesa da quello stesso aereo disoccupata e mazziata.
Per quanto, ripeto, condivisibile sia la condanna di un tweet tanto idiota, non ritengo altrettanto condivisibile:
1) che la sua azienda si sia sentita chiamata in causa dalla sua stupidità;
2) che i social network, che fanno parte della nostra vitaccia privata come le sbronze che decidiamo o meno di prendere il venerdì sera, abbiano ripercussioni sulla nostra vita professionale (sarebbe stata secondo me più logica la cancellazione del profilo);
3) che Justine sia stata licenziata mentre era ancora in volo, dopo un vero e proprio linciaggio mediatico al quale nemmeno ha partecipato.
Sarà una visione un po' alla "signore delle mosche", ma mi piace pensare al web libero.
C'è chi sostiene che sia una jungla. E' vero: rispecchia ciò che siamo, nel bene e nel male. Ma come in qualsiasi comunità c'è modo di scegliere chi frequentare. O, nella peggiore delle ipotesi, chi bannare.
#JustineLandedYet, ovvero come ti stronco una carriera con un tweet 
Dio sa se non abbiamo bisogno di libertà...
La Redazione

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