I mercatini dell'usato sono una vera pacchia. Io li amo, e quando il mio portafogli non langue particolarmente non me ne faccio scappare uno, sperando di trovare cose belle da poter acquistare a poco prezzo. E' stato così che ho ritrovato libri come Pioggia nera di Dennis Lehane o La cittadella di Cronin, ma anche dei dvd davvero fighi, come il rarissimo Following di Nolan o Bronson di Refn. E proprio fra i dvd ho avuto modo di godere di questo titolo, questo ennesimo capolavoro del Tenno che ho comprato per l'assurda cifra di tre €uri. Perché se è vero che dei capolavori si può godere in ogni dove e in ogni quando, se li hai tutti per te per una cifra davvero irrisoria allora la goduria non è doppia, ma decuplica all'istante, specie se come me ami avere originali i titoli che ti hanno particolarmente emozionato o che hai finito per amare. Ecco, nonostante questo fosse un film che non avevo mai visto, sapevo che avrei finito per amarlo alla follia, perché se Kurosawa in genere è una garanzia, questa pellicola possiede tutte le caratteristiche che mi piacciono non solo del suo cinema, ma delle storie in generale.
Un ladruncolo sottratto alla pena di morte viene istruito per divenire il sosia di Takeda Shingen, uno dei tre signori della guerra che si contende la conquista della capitale Kyoto. Quando però Takeda muore per davvero, come da lui ordinato il suo sosia lo sostituirà per tre anni, in modo da confondere il nemico e portare avanti la guerra. Solo che...
Fare storie simili non è semplice. E diventa ancora più difficile se, come successe al Tenno, si esce da un periodo non proprio idilliaco. All'epoca Kurosawa aveva tentato il suicidio, quindi non stupisce che la sua pellicola tratti temi quali il peso di vivere - anche se questo è una tematica della narrativa tutta, va detto - l'indefinibilità di un individuo e il suo legame a doppio filo con la morte. Ma il regista nipponico lo fa, riuscendoci egregiamente come solo lui sa fare. Dalla sua ha un dispendioso accumulo di mezzi e capitali, gentilmente offerti dai paladini Georde Lucas e Francis Ford Coppola, da sempre grandi ammiratori del regista - Lucas aveva distribuito in America, insieme a Steven Spielberg, il suo film a episodi Sogni - che gli permettono di ricreare uno degli spettacoli visivi più ammalianti che la settima arte ci abbia mai offerto. E tutto questo senza effetti speciali o altro, ma solo grazie alla regia, alla fotografia e alla scenografia, qui variabile e sperimentale come non mai. Non c'è un'inquadratura che non sia bellissima, non c'è una sola immagine che non si imprima indelebilmente nella memoria, e quelle proposte nella gallery qua sotto sono solo un timido assaggio, perché la loro vera potenza è quella sequenziale. Ma non è solo nelle immagini che sta la vera bellezza di un film che diviene il ritratto di un'anima tormentata e spinta dagli eventi. Non sapremo mai il nome del ladrone, per tutti egli sarà solo il sosia o Takeda Shingen stesso, il kagemusha, il guerriero ombra, colui che permette al sovrano di essere di nuovo in vita anche dopo la morte. E dopo un primo tempo dove la guerra si manifesta in tutto il suo potente orrore, abbiamo un secondo che ci mostra come questo piccolo personaggio saprà diventare grande quando la situazione lo richiede, riuscendo a ripercorrere e gesta dell'originale e prendendo delle decisioni non facili. Ma una vita vissuta in nome di qualcun altro non è vita. Per quanto abilmente mascherata, alla fine la verità fa sempre capolino nella vita degli uomini e con rara potenza riesce a scuoterla per sempre. Per un uomo che vive la sua seconda vita nella menzogna, quale terribile sorte può rivelare la verità? A cosa lo porterà la vita una volta che il suo compito è finito? Kurosawa ci mostra così il lento declino dell'uomo dinanzi all'esistenza e alla Storia attraverso delle immagini monolitiche e anti-retoriche, che al posto delle frasi e dei pensieri pomposi privilegiano lo sguardo degli attori e le loro incerte movenze, fino alla bellissima sequenza onirica del sogno, che ci pone dinanzi a un altro terribile interrogativo: quando passiamo la vita a fingerci qualcun'altro, quanto di quella personalità rimane in noi? Forse c'è da preferire un vita miserabile passata però in totale coerenza e onestà, piuttosto che una sfarzosa immersi nella menzogna. Questa sono solo supposizioni, perché il regista non ci darà mai un risposta definitiva, pur suggerendo la sua posizione nel tragicissimo finale - degno di un'opera shakespeariana. Quello che importa è mostrare un medioevo feudale crudo e spietato, sia coi regnanti che con gli umili soldati, carne da cannone - o di katana, visto il contesto - soggiogati anche loro da un ruolo che li pone così dinanzi alla morte, l'unico vero occhio dinanzi al quale ci profileremo tutti, spogli degli orpelli e delle maschere. Si può quindi dire che tutti in questo film recitino una parte, sia quella che è stata loro imposta dalla vita o dallo sviluppo degli eventi, oppure che si sono autoimposti con le loro stesse mani. Perché forse nessun uomo è libero, la vera prigionia sembra essere la cita stessa.
Un capolavoro che se la gioca duramente con Ran, altra opera fortemente debitrice verso il Bardo, pur privilegiando altre tematiche e forme estetiche.Voto: ★★★★★