Uno dei bollettini propagandistici filogovernativi, il Giornale, prontamente replica. Il senso è quello classico dei tipi “tosti” con poche smancerie, vale a dire: “uffa, ‘ste donne moraliste, ke palle!” e per redigere il bollettino hanno pensato di incaricare, per l’appunto, una donna: Valeria Braghieri se la prende con le “donne senza ironia”: “ci facciamo cogliere sull’orlo di una crisi di nervi per un’uscita infelice?” scrive. Secondo lei la barzelletta era solo un po’ brutta, ma anche se diceva testualmente che “le suorine” venivano “violentate”, non parlava di stupro.
Ora, mi è venuto subito in mento un termine, peraltro già usato in passato dal primatista mondiale delle barzellette all’italiana contro un parlamentare tedesco: kapò. Nei lager nazisti alcuni prigionieri passavano dalla parte degli aguzzini, diventandolo a loro volta, per avere privilegi, cibo, ambiente riscaldato ecc. Proprio stamattina all’ora di colazione guardavo su RAI movie un film in bianco e nero su un lager femminile, col le terribili kapò che prendevano a manganellate le altre recluse (Kapò, di Gillo Pontecorvo).
Ci si chiede se questa non sia un tendenza genetica che coinvolge da sempre alcuni esponenti della nostra specie (quanti, non possiamo stabilirlo): si passa dalla parte degli oppressori, si sfogano sentimenti bassi, violenza, razzismo, viltà. Così l’indignazione su una porcheria come lo stupro di suore diventa mancanza di humor, perché “togliersi l’umorismo è peggio di togliersi i tacchi. Perché dobbiamo scorticarci da sole metterci all’angolo come se fossimo perennemente braccate, sembrare tristi quando siamo tutt’altro?” (mb)