Ricordiamoci di questo pezzo scritto alcuni mesi fa, segnalato da alcuni amici. Ancora un’accusa di corruzione a Berlusconi per favorire Eni nella solita lotta fra colossi degli idrocarburi.il guaio peggiore è che nemmeno esiste un’alternativa culturale ed economica. Il governo Prodi non è sotto inchiesta ma ha aiutato l’Eni come ha potuto in Kazakistan, e non ha avuto obiettivi diversi, bensì metodi differenti. Questa politica malata, inebriata, ubriaca di petrolio e gas ci porta lungo una strada fitta di segnali negativi. E c’è qualcuno che sta tentando una rivoluzione culturale? Sì, gruppi di volonterosi senza altro potere che l’informazione, le idee e una scelta di vita. Quanti anni ci vorranno? Perché il Pd non si muove verso verso questa direzione e continua a discutere di cose che non si comprendono nemmeno? Intanto paghiamo tutto.
Yahoo! FinanzaScritto da
Angela Iannone | Yahoo! Finanza – ven 19 apr 2013 12:59 CEST
Un buco da 30 miliardi di dollari nel Mar Caspio? Questo potrebbe
rivelarsi alla fine il prestigioso progetto di Kashagan, vasto
giacimento petrolifero offshore localizzato al largo delle coste del
Kazakistan.
Il giacimento infatti, individuato nel 2000 e con una
riserva tra i 9 e i 16 miliardi di barili di petrolio, sarebbe dovuto
entrare in produzione nel marzo 2013. Ma numerosi problemi, tra cui un
ambiente davvero ostile all’estrazione (12 mila metri sotto il livello
del mare) e una difficile burocrazia, non hanno ancora permesso alle
società che sostengono il progetto – Eni, Shell, Total, ExxonMobil,
KazMunayGas, ConocoPhillips e Inpex, riunite nell’alleanza commerciale
North Caspian Sea Production Sharing Agreement – di produrre una goccia
di petrolio, sborsando allo stesso tempo per la realizzazione
dell’impianto più di 30 miliardi di dollari. Una piccola parte,
rispetto al costo finale del gigante, che si aggira intorno ai 136
miliardi di dollari.
Ritardi su ritardi: già lo scorso annol’amministratore delegato Eni (che possiede il 18,6% di Kashagan) Paolo Scaroni, aveva garantito che il giacimento petrolifero sarebbe stato messo in produzione entro la fine del 2012, per poi posticipare la data entro l’estate 2013. Ma voci vicine al KazMunayGas, compagnia petrolifera kazaka che possiede quasi il 20% della società, sostengono
che bisognerà aspettare il 2014 prima di vedere quantità significative di petrolio. Sottoponendo le società interessate a nuove e salate sanzioni di decine di milioni di dollari per non aver rispettato le scadenze con il governo kazako, oltre ad aumentare le tensioni con il governo stesso che renderanno ancora più difficile la conclusione dell’opera.
Difficoltà ambientali, tecniche e difficili relazioni hanno rallentato il cammino di Kashagan, ma non solo. Anche i difficili rapporti tra i membri del consorzio, in particolare il malcontento da parte delle altre società – Shell su tutte – che l’operationship,
ovvero la conduzione pratica, fosse stata affidata all’Eni, che aveva garantito il first oil già nel 2005. Cosa che non si è verificata, così dopo numerose diatribe interne nel 2008 gli azionisti si sono divisi i compiti, lasciando all’italiana il completamento della fase 1 e successivamente delle operazioni a terra. Step rimandato di anno in anno, dal 2008 al 2010, fino al 2013, facendo sforare il budget
concesso all’Italia di ben 20 miliardi di dollari.
A complicare il tutto sono subentrati gli scandali e i procedimenti giudiziari che potrebbero vedere l’Italia definitivamente fuori dal colossale progetto, sostituita dalla Shell. Il Tribunale di Milano ha avviato infatti lo scorso maggio un procedimento di Stato contro l’Agip KGO, filiale di Eni, per aver pagato tangenti di 20 miliardi di dollari a funzionari kazaki per non essere espulsa dalla partecipazione in Kashagan. Nel 2009 infatti l’Eni stava per essere espulsa dal progetto
per non aver raggiunto gli obiettivi prefissati, ma i rapporti privilegiati del governo di Astana con il governo Berlusconi permisero l’inclusione del cane a sei zampe nel nuovo consorzio, la North Caspian Operating Company (NCOC), insieme a nuovi partner, cedendo parte delle
licenze a Shell, Exxon e Total.
Nel frattempo, all’interno dell’alleanza societaria potrebbe entrare anche la Cina: è quanto
dichiarato dal ministro del petrolio e del gas del Kazakistan Sauat Mynbayen, affermando che Pechino sarebbe interessata a rilevare la quota detenuta dalla statunitense ConocoPhilips nel consorzio internazionale. La decisione non è stata ancora presa, ma la possibilità, secondo i due governi, è più che fattibile.