di Daniel Angelucci
“And we should build a new framework for civil nuclear cooperation, including an international fuel bank, so that countries can access peaceful power without increasing the risks of proliferation”. (Barack Obama, 5 aprile, 2009)
Tra le sfide fondamentali che affronta l’impegno per la non–proliferazione nucleare troviamo il fatto che l’uranio altamente arricchito (High Enriched Uranium, HEU), idoneo per l’impiego nelle armi nucleari, può essere prodotto negli stessi impianti dove si produce l’uranio poco arricchito (Low Enriched Uranium, LEU) per i reattori civili. Una via possibile per aggirare il problema sarebbe quella di istituire, a livello regionale, delle banche di combustibile nucleare per provvedere all’approvvigionamento di LEU per il funzionamento di reattori civili ai Paesi che non pratichino le attività di arricchimento e riprocessamento dell’uranio.
Seguendo questo modello, il Kazakistan è prossimo a giocare un ruolo chiave nella sicurezza globale andando ad ospitare una banca internazionale nucleare che, sotto gli auspici della International Atomic Energy Agency (IAEA), permetterà a partire dalla fine del 2013 agli Stati con industrie nucleari per scopi pacifici di rifornirsi di uranio arricchito senza bisogno di dover sviluppare in proprio le capacità e le tecnologie di arricchimento.
Secondo il giudizio di alcuni osservatori, il Kazakistan ha delle qualità che lo rendono un buon luogo dove ospitare la banca nucleare. In primo luogo, il Kazakistan, grazie alle grandi riserve di uranio pari a circa un quinto delle riserve mondiali, è protagonista nel mercato internazionale del metallo radioattivo. In secondo luogo, il governo kazako esercita da lunga data una politica “multi – vettoriale” in base alla quale cerca di mantenere buone relazioni con tutti i Paesi e ciò comporterà, molto probabilmente, che i governi stranieri si sentiranno più sicuri quando dipenderanno dalla fornitura di combustibile nucleare kazako.
In terzo luogo, sin dalla sua indipendenza, Astana ha dato prova di un ottimo dossier di non–proliferazione, a partire dalla decisione di rinunciare all’eredità militare nucleare sovietica fino ai molteplici sforzi nell’ambito del regime di non–proliferazione internazionale. Alludiamo, dapprima, alla adesione al Trattato di Non Proliferazione nucleare (TNP) e, poi, al Nuclear Suppliers Group, che richiede l’adempimento a determinate linee guida per minimizzare il rischio di proliferazione mediante attività di esportazioni.
Gli alti standard che il Kazakistan garantisce in tema di non–proliferazione si possono desumere anche dal fatto che il governo kazako ha negoziato con la IAEA sia le comuni misure di salvaguardia, sia il c.d Additional Protocol, cioè il documento che garantisce allo staff dell’Agenzia ulteriori poteri ispettivi e diritti di monitoraggio degli impianti e magazzini di stoccaggio nucleare. Inoltre il Kazakistan ha offerto il proprio supporto all’istituzione di una Zona Libera da Armi Nucleari in Asia Centrale. Tale progetto, giunto a compimento nel marzo del 2009 con la ratifica del Trattato di Semipalatinsk, copre i territori del Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan.
Visto questo profilo, non meraviglia che le ambizioni in tema nucleare di Astana siano elevate. Infatti, il fine ultimo sarebbe quello di stabilire un “centro servizi di combustibile nucleare” che, oltre a servire come banca di uranio arricchito, provveda sia a riprocessare il combustibile esaurito che esce dai reattori nucleari per riciclarlo come plutonio, sia ad immagazzinare i residui rifiuti nucleari.
Il fattore nucleare in Kazakistan. Fonte: Center for Non-proliferation Studies
I dubbi, i rischi e le sfide poste dalla banca di combustibile nucleare kazaka
Malgrado il Kazakistan abbia fin qui registrato un buon record in tema di non–proliferazione, ad oggi persistono una serie di timori, a livello nazionale ed internazionale, circa l’implementazione della banca di combustibile nucleare di cui si va qui discorrendo.
Da una parte abbiamo l’opinione pubblica nazionale che tiene viva la memoria della tragedia consumatasi negli anni dell’Unione Sovietica: infatti in tempi di Guerra Fredda, il governo sovietico ha usato gli impianti nella regione ad est, nel Semipalatinsk, per testare centinaia di bombe atomiche (almeno 456 test nucleari per un totale di oltre 600 esplosioni) con conseguenze catastrofiche per l’ambiente e per gli abitanti della regione. Alla luce di questa eredità, gruppi ambientalisti e della società civile hanno espresso preoccupazione circa un possibile atteggiamento “lassista” del governo che conduca le attività in segreto e che cancelli le tracce di eventuali incidenti, sottovalutando, nel complesso, la tutela dell’ambiente e della salute delle popolazioni residenti.
D’altra parte gli osservatori sottolineano come, nonostante l’era sovietica diede un forte impulso alla modernizzazione del sistema di educazione kazako, vi siano fondati motivi per ritenere che il governo di Astana non sarà in grado di istruire e di addestrare un numero sufficiente di tecnici per fronteggiare la rapida espansione della industria nucleare nazionale. Al contrario, esiste il timore che gli specialisti kazaki nell’ambito nucleare, specialmente quando saranno più numerosi, possano “vendere” le loro competenze a gruppi terroristici o a governi stranieri che stiano cercando conoscenze in campo nucleare per scopi illeciti.
Inoltre, esistono forti dubbi sul grado di opposizione che Astana dimostrerà nei confronti della vicina Teheran circa le attività sospette di quest’ultima: s’è vero che i leader kazaki hanno denunciato la Corea del Nord per i suoi test nucleari, è anche vero che gli stessi leader si sono astenuti dal criticare Teheran per l’ostinazione con cui questa tenta di ottenere le tecnologie per l’arricchimento dell’uranio, ed anzi, persegue altre attività definite illegali dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Da un punto di vista ideologico e strategico, i Paesi in Via di Sviluppo sono soliti considerare le proposte per le banche nucleari con una buona dose di sfiducia, giudicandole come un ulteriore esempio della volontà delle potenze nucleari di mantenere “gli altri” fuori dal club atomico.
In altri termini, alcuni Paesi in Via di Sviluppo temono che una banca di combustibile nucleare di proprietà di una o più potenze potrebbe rivelarsi uno strumento di ricatto politico laddove tali potenze decidessero di non fornire l’uranio poco arricchito facendo leva su ragioni di carattere geopolitico e più o meno discriminatorio.
Fortunatamente il deposito di uranio in Kazakistan sarà messo sotto il controllo totale della IAEA, cosi come la proprietà del materiale ivi immagazzinato. E’ assai probabile che l’imparzialità ed il prestigio dell’Agenzia siano sufficienti a sanare i timori dei Paesi in Via di Sviluppo di subire discriminazioni circa l’accesso alle riserve di uranio, rendendo questa iniziativa equa e di vero pregio per la comunità internazionale.
* Daniel Angelucci è Dottore in in Scienze Politiche (Università di Teramo)
Per approfondire:
Titoff, Buckley, Novak, Weitz, Assessing Kazakhstan’s Proposal To Host A Nuclear Fuel Bank, Gennaio 2012.