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Keep it simple (?)

Creato il 19 luglio 2012 da Stimadidanno

Con questo fatto delle interviste per measachair mi ritrovo a volte a spiegare com'è nato questo strano gioco. Capita di farlo in un'altra lingua, ultimamente pungolata da una verde inglesina diSheffield mezza psicologa e mezza fotografa, e lo trovo sorprendentemente facile. Constato che fuori dai confini la curiosità riguardo al progetto viaggia a briglia più sciolta e le parole si fanno dirette, semplici, trasparenti. Via le logiche do-ut-des, le questioni di immagine, certi pudori. La curiosità e il gioco prevalgono su tutto, il tono si fa leggero e si procede in scioltezza. Le domande dell'altro si equilibrano con le mie e non diventa più un "per favore" da parte mia ma una chiacchierata-viaggio, i dialoganti sullo stesso piano e le reciproche istruzioni per per l'uso che si fanno necessariamente basiche. E va bene così, che dalla semplicità delle parole-base escono le linee portanti del progetto e delle persone, in modo utile ed estremamente schematico. Se ne potrebbero ricavare mappe piene di frecce, interconnessioni e richiami, un po' il mio genere, insomma, che le questioni le approccio così in modo visivo, spezzando e ricomponendo: pare che questa sia la mia unica abilità, teniamola esercitata.   
Ma. 
Esiste la complessità, e non è che me ne sono dimenticata. E qui le interviste non c'entrano più, se non come esperienza umana, allenamento all'empatia e oggetto di chiacchierata nei viaggi in macchina. Immagini e parole, c'entrano un po', forse. Le sedie invece, ah, quelle c'entrano sempre.
Esistono sedie che non sarò mai capace di tratteggiare, perché ridurre a linee ciò che conosco in profondità (o-credo-di) è un gioco difficile. O forse certe situazioni non sono adatte al gioco o io non sono nello spirito, in certi casi. Mi faccio seria seria, mi privo dello scudo dell'ironia che mi protegge sempre, e mi sento a disagio in questa dimensione. Sto in-difesa, aggressiva. 
La complessità è tutta nel reale, nelle pause, nei toni e nei silenzi che si sperimentano solo a tre dimensioni. E dopo tante immagini e parole sulla rete, dove tutto mi sembra evolversi in sintetica e superficiale naturalezza, nel reale è di silenzio condiviso che ho bisogno. Non c'è intimità maggiore che sentire un luogo nello stesso modo. Seduti o sdraiati in silenzio, esperire. Nel silenzio, forse, riesco a tradurre e sciogliere. E' così, e il rumore appiccicoso della città, che solitamente trovo ad accogliermi protettiva con il suo anonimato garantito e alimentatore del flusso ondivago di pensieri, in questi giorni è disturbante come poche volte mi è capitato e mi fa perdere tempo. 
Spreco di tempo, è questo che mi infastidisce soprattutto. 
"Il malinteso è la registrazione fedele della intraducibilità dei desideri, della inconciliabilità degli istanti, della ambiguità del presente. Per uscirne bisogna "imparare a vivere", sapere "come vanno le cose", avere la pazienza di chi sa che in un modo o nell'altro le cose si chiariranno. La chiarezza del tempo è anche la chiarezza dell'oltre, la morte come una condizione in cui cessa la recita sociale, la simulazione relativa necessaria allo stare al mondo"
Il malinteso di Franco La Cecla*
Bella sfida, cercare di godersela nel frattempo, la chiarezza...
*Lo sto leggendo, penso che mi ribalterà. 

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