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L’ultima settimana è stata, lo confesso, una delle più incredibili dalla partenza -ormai tre anni fa- del progetto “La Fuga dei Talenti“.
Tre iniziative hanno rimesso il tema del “brain drain” italiano all’interno del dibattito pubblico: -l’iniziativa di Claudia Cucchiarato, con il censimento degli expats sul sito di Repubblica.it (oltre 20mila adesioni!); -la co-iniziativa, mia e di Claudia, con il Manifesto degli Espatriati (oltre 500 sottoscrizioni online, in poco più di due settimane); infine -l’articolo su “Time Magazine”, relativo al tema (articolo ripreso anche dalla stampa italiana). Insieme, queste notizie o iniziative hanno letteralmente scoperchiato il vaso di Pandora. Dimostrando due cose:
-il fenomeno della Fuga dei Talenti esiste, è qualitativamente e quantitativamente enorme;
-questi Giovani Talenti all’estero hanno voglia di raccontarsi, dire la loro e tornare a incidere attivamente nel contesto italiano.
Ora viene il difficile: “Keep the Momentum“, non lascarti sfuggire l’attimo, direbbero gli inglesi. Avete dimostrato di esistere, avete dimostrato di voler tornare a dire la vostra. Avete dimostrato che questa Italia che avete lasciato è tutto, fuorché un Paese dotato di standard europei ed occidentali. Né come potrebbe esserlo, scusate, quando -come ha messo in rilievo un’inchiesta de La Stampa- il 55,3% dei giovani fino a 34 anni trova lavoro attraverso la rete di amici, parenti e conoscenti? E’ un Paese del G8 questo? In grado di premiare il merito e i migliori? Non scherziamo. E’ semplicemente il Paese dell’”amico mio, oggi un favore io a te, domani un favore tu a me“. La stessa inchiesta mette in rilievo come tre assunzioni su quattro avvengano con strumenti informali e non professionali, nel cosiddetto “Belpaese”. “Emerge dalla ricerca che in Italia non si è ancora affermata una strumentazione, come avviene in altri Paesi, più formalizzata e professionale, ma imperversano e prevalgono le reti amicali e familistiche, segno di un mercato professionale che stenta ad affermarsi“, così scrive l’esperto di lavoro Walter Passerini. Pensate che Agenzie private per il lavoro e i Centri Pubblici per l’Impiego non arrivano al 5% delle assunzioni…
Non è una sorpresa, comunque: anche Stephan Faris, nel suo bell’articolo su Time, aveva messo in rilievo come proprio questa rete di relazioni familistiche e parafamilistiche stia rovinando (o abbia già rovinato) questo Paese. Sull’articolo di Faris, segnalo questo bellissimo botta e risposta nella sezione “Commenti” di Time (intasata in pochi giorni…). A mio parere vale più di mille saggi e disquisizioni sul tema:
Sandy: “Non è un dovere dei giovani italiani restare e cambiare il sistema a loro vantaggio? Magari richiederà tempo, ma forse il futuro non sarà poi così difficile… Sono un oustider dall’America, scusate se offendo qualcuno…”
Risponde Emme Erre: “Sono una trentenne e ho lavorato per quattro anni come designer per un brand di moda molto famoso in Italia. Avevo un contratto temporaneo, senza benefits e uno stipendio base, ma contavo sul fatto che questa esperienza mi sarebbe servita come “plus” , in vista del mio successivo lavoro. Durante la crisi, la migliore idea venuta all’impresa è stata quella di fare tagli indiscriminati del personale, senza alcuna distinzione tra chi poteva essere considerato una risorsa preziosa e chi era -di fatto- un semplice dipendente. Nel corso di un colloquio con un altro “nome” dell’industria della moda italiana, mi fu detto che -per essere assunta- avrei dovuto accettare una riduzione del 25% del mio stipendio base (già basso), e mi fu reso chiaro che avevo ZERO POSSIBILITA’ di futura crescita interna. Dopotutto ero solamente una DONNA GIOVANE. Tra l’altro, mi sarei dovuta trasferire immediatamente. A mie spese. Io ho due colpe, per l’Italia: sono donna, e non sono parente di nessuno. Ho già regalato a questo Paese dieci anni di lavoro sottopagato. Su quei miseri stipendi ci ho pure pagato le tasse. Ora temo che non avrò mai la possibilità di sfruttare la mia educazione, il mio talento e la mia esperienza per costruirmi una vita. Per questo sto cercando lavoro all’estero. Sorry, ma non mi resta tempo per cercare di cambiare le cose. O sperare che le cose cambino“.
Capito, signora Barbara Palombelli? Ma lei in quale mondo vive? Non è nei salotti romani o negli studi televisivi delle reti di Stato che si comprende il pianeta Terra, questo spero lo sappia. “Lasciate le pigrizie catalane di Barcellona, le folli notti berlinesi, la Londra sempre swinging, i loft newyorkesi”, ha scritto lei su “Il Foglio” la scorsa settimana: ma che pensa, che all’estero sia tutto un enorme parco giochi? Forse per certi (non tutti) debosciati “figli di”, spediti a New York o a Londra dai potenti genitori… perché fa trendy. Ma sempre “debosciati” resteranno. I giovani talenti che conosco io si sono costruiti da soli. Sono arrivati in luoghi dove non erano nessuno, e a ritmi di 15 ore di lavoro al giorno sono diventati qualcuno. Mettendosi in competizione con i giovani del posto, partendo da condizioni svantaggiate. Quei giovani sono l’Italia buona e virtuosa, quella che forse lei non ha mai conosciuto in certi salotti. Esistono due Italie… lo sa, signora Palombelli? Io so a quale Italia appartengo: è la stessa dei giovani che l’hanno lasciata. Lei invece a quale appartiene? E lo sa che suona veramente assurdo -da parte sua- criticare un Manifesto degli Espatriati, dove al punto 10. si mette esplicitamente nero su bianco la volontà di rientrare per cambiare le cose…? Ma per quale motivo lei ribalta il discorso, fingendo che questo punto dica dell’altro, e ci costruisca una critica sul presunto immobilismo delle giovani generazioni? Quelle che conosco io sono tutto, tranne che immobili. Ci avete lasciato in eredità un bel Paese diseguale, bloccato dall’immobilismo sociale (si vada a leggere per cortesia gli studi di Irene Tinagli), dove i giovani devono sopravvivere (si legga per favore i libri di Alessandro Rosina): a costruire questo Paese diseguale e ingiusto ha contribuito anche chi predica un Vangelo da centro-sinistra salottiero, fatto di barche a vela e privilegi per figli, mogli e consorti. Il vostro Paese non è il nostro Paese, signora Palombelli. E ora, cari amici: “Keep the Momentum”. Continuiamo a battere il ferro, finché è caldo. Il Manifesto degli Espatriati è ancora online per le vostre sottoscrizioni. Noi continueremo a fare la nostra parte, con nuove iniziative che si stanno sviluppando. Poniamoci come obiettivo la “circolazione dei talenti”. Poniamoci come obiettivo quello di far diventare l’Italia un Paese per giovani. Giovani dall’apertura mentale internazionale, giovani che mal sopportano i salotti e gli “amici degli amici”, giovani che conoscono solo il valore del proprio -sudato- lavoro. Giovani del futuro. Non è un manifesto politico, né lo sarà mai. E’ solo l’ultimo salvagente rimasto a questo Paese che sta affondando.