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Kenyatta è il nuovo Presidente del Kenya: quali prospettive?

Creato il 20 marzo 2013 da Bloglobal @bloglobal_opi

di Andrea Marras

Kenyatta è il nuovo Presidente del Kenya: quali prospettive?
Il periodo delle elezioni è un momento topico per la storia di un Paese e lo è anche per il Kenya che ha vissuto con grande apprensione la chiamata alle urne, tenutesi il 4 marzo. La popolazione ha vissuto con forte preoccupazione quelle ore, poiché era ancora ben impresso nella mente dei Keniani il ricordo delle elezioni del 2007, uno dei momenti più difficili della storia recente del Paese. In quella tornata elettorale, la forte contestazione e la accusa di brogli immediatamente successivi alla dichiarazione del vincitore scatenò un’ondata di violenza che portò ad oltre un migliaio di morti e mezzo milione di sfollati. Proprio per quegli avvenimenti, la Corte Penale dell’Aja incriminò, tra gli altri, anche Uhuru Kenyatta con l’accusa di essere corresponsabile dei gravi crimini contro l’umanità ai danni dei sostenitori dell’allora candidato Odinga.

Con il 50,07 dei consensi, Uhuru Kenyatta, candidato per il The National Alliance, è riuscito a superare di un soffio, appena ottomila voti, la soglia del 50 per cento più uno dei voti necessari per esser eletti Presidente senza dover andare al ballottaggio. Nonostante le reciproche promesse fatte durante la campagna elettorale riguardo l’accettazione del risultato delle urne, per evitare i tragici eventi del 2007, Odinga, il secondo candidato ed esponente dell’Orange Democratic Movement, ha annunciato di aver presentato ricorso alla Corte Suprema. Il conteggio dei voti è stato rallentato da numerosi intoppi nel sistema di spoglio e in alcuni casi, come ad esempio nella città di Bomas, la tensione è salita quando è stato chiesto l’allontanamento dei rappresentati politici ma anche degli osservatori internazionali. È evidente che Odinga possa chiedere il riconteggio dei voti dato l’esiguo numero di voti che ha permesso al nuovo Presidente di evitare il secondo turno. L’alta affluenza alle urne – i dati parlano di percentuali vicine al 85 % degli aventi diritto – e la quasi totale mancanza di violenze a votazioni aperte fanno ben sperare sia la popolazione che gli osservatori internazionali.

È necessario sottolineare come, effettivamente, vi siano stati degli scontri tra forze di polizia e membri del gruppo separatista MRC durante i quali i morti sono almeno diciassette e numerosi i feriti. Al tempo stesso, bisogna far notare che i tafferugli sono avvenuti ancor prima dell’apertura dei seggi e non è ancora ben chiaro se i responsabili degli scontri siano membri di questo gruppo separatista. Quando Odinga ha annunciato, come già detto, di volersi appellare alla Corte Suprema, ha allo stesso tempo richiamato i suoi alla calma per evitare scontri tra i propri sostenitori e quelli del neoeletto Presidente.

Sulle elezioni aleggia anche il mistero della scomparsa di George Saitoti, ex Ministro per la Sicurezza Interna, morto in un incidente aereo in circostanze non ancora chiarite e che, a detta di alcuni esperti, poteva essere un valido avversario di Kenyatta e di Odinga.

Uhuru Kenyatta, figlio del padre della patria Jomo Kenyatta, rappresenta il classico esempio di membro delle elites politiche ed economiche africane. Oltre a provenire da una delle famiglie più ricche del continente, con interessi che vanno dalle assicurazioni ai media, si è formato lontano dal proprio Paese per poi fare rientro nel Paese d’origine per poter gestire l’immensa fortuna accumulata dal padre. La difficile missione che attende il neoeletto Presidente è quella di dare una stabilità politica e, proprio in questo senso, giungono le pressioni della comunità internazionale soprattutto da parte di India e Cina, le quali hanno investito nel Paese ingenti somme di denaro.

Il Kenya, negli ultimi anni, ha rappresentato un vero e proprio baluardo contro il terrorismo internazionale ed è stato importante l’impegno in tal senso data la posizione strategica del Paese. Proprio per questo stesso motivo è sempre alta la guardia visto il rischio di ritorsioni contro ambasciate e consolati, soprattutto da parte del gruppo terroristico al-Shabaab, attivo nella confinante Somalia. Nonostante ciò, agli occhi degli investitori internazionali il Kenya rappresenta ormai una meta interessante, sia per le politiche governative volte ad attirare investimenti stranieri sia per la crescita costante dell’economia. Questo è stato uno dei temi più importanti della campagna elettorale, soprattutto alla luce dello scandalo Goldenberg per il quale non sono mancate accuse reciproche da parte di Kenyatta e Odinga. In questo scandalo, sul quale la magistratura keniana sta investigando ormai da anni, sono coinvolti uomini politici di primo piano che hanno messo in piedi una truffa che è costata al Paese circa 241 milioni di dollari.

Pil, Inflazione e Investimenti Diretti Esteri (periodo 2000-2010) - Fonte: UCTADSTAT

Pil, Inflazione e Investimenti Diretti Esteri (periodo 2000-2010) – Fonte: UCTADSTAT

Nei prossimi giorni sarà decisivo vedere come verrà affrontata la questione del ricorso dell’ex Premier Odinga e se entrambe le fazioni continueranno ad invocare la calma per scongiurare la riproposizione di quanto avvenne nel 2007. Tutto ciò sarà importante proprio per evitare che si possa aprire lo scontro etnico tra l’etnia dominante, che è quella di cui fa parte Kenyatta – cioè i kikuyu – e le altre minoranze presenti nel Paese. Proprio in questo senso, recentemente, eminenti africanisti hanno espresso la loro idea sul fatto che si tenda ad individuare come etnici degli scontri che, spesso, possono avere una natura diversa, soprattutto sociale. Infatti larghe fasce della popolazione sono escluse dai benefici della citata crescita economica, soprattutto i milioni di Keniani che risiedono nelle immense slam, e che vivono al di sotto della soglia di povertà.

Nel momento in cui, superata anche l’impasse del ricorso alla Corte Suprema, i due contendenti dovessero accettare il risultato delle urne, si potrebbe parlare di un confronto elettorale sostanzialmente pacifico. Questo comporterebbe l’apertura di una nuova stagione in questo importante Paese dell’Africa Orientale e la possibilità di non interrompere la crescita economica che attira così tanti investitori stranieri cercando di portare avanti politiche che portino benefici a tutte le fasce sociali.

* Andrea Marras è Phd. Candidate in Storia ed Istituzioni dell’Africa (Università di Cagliari)


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