Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo un estratto del “Ritratto” di John Maynard Keynes scritto da Andrea Terzi e pubblicato su Nuova informazione bibliografica, anno V, n. 4 / Ottobre-Dicembre 2008.
Il pensiero
Protagonista di primissimo piano nella storia britannica e internazionale a cavallo dei due conflitti mondiali, John Maynard Keynes ha fortemente influenzato la cultura contemporanea e condizionato l’evoluzione del pensiero economico del Dopoguerra. In maniera ancor più marcata di Adam Smith, Keynes ha dettato alle future generazioni un linguaggio teorico nuovo e un repertorio inedito di tecniche di politica economica. Con Keynes nasce la macroeconomia: termini come domanda aggregata, reddito nazionale e pro-pensione al consumo diventano parte del linguaggio comune di economisti e opinionisti, nonché dei governi che si assumono l’onere di perseguire gli obiettivi della stabilità e della crescita economica.
Per oltre un quarto di secolo Keynes fu un personaggio di notorietà internazionale. Quando muore, non è ancora l’autore della Teoria generale. Il necrologio del «New York Times» elenca la sua opera oggi più celebre tra i suoi «altri libri» e lo celebra per il modo in cui ha inciso nella lettura dei fatti del mondo e per come ha influenzato le istituzioni e le politiche pubbliche, sottolineando il ruolo di artefice «delle teorie che fanno della piena occupazione l’obiettivo principale della politica economica» (un obiettivo che l’Employment Act aveva formalmente assegnato al governo americano solo qualche settimana prima). Rievoca Le conseguenze economiche della pace e la lungimiranza dimostrata ai tempi di Versailles, quando comprese i rischi delle condizioni di pace imposte alla Germania, e ricorda la dichiarazione di Keynes a sostegno del Presidente Roosevelt quando più aspre si fecero le critiche al programma di spesa pubblica.
Rivisitarne il pensiero oggi, ad oltre sessant’anni dalla scomparsa, è naturalmente un esercizio del tutto differente, che tiene conto non più o non solo della forza di persuasione dell’uomo ma anche e soprattutto della vitalità e dello spessore delle idee che le sue opere hanno consegnato alla storia. La sua «teoria generale» è stata in molte maniere riassunta, interpretata, diffusa come «verbo» e rinnegata. Le sue idee hanno creato consenso e divisione, sono state sostenute da seguaci autentici che ne hanno tratto ispirazione scientifica e da ammiratori smaliziati che le hanno strumentalizzate a fini personali, a tal punto che chiunque oggi intenda avvicinarsi al pensiero di Keynes si trova a doversi innanzitutto liberare delle troppe letture e interpretazioni che si sono stratificate sul suo conto.
A contribuire a spiegare i motivi del fiorire di tante diverse letture è il fatto che il suo pensiero sia stato, tra gli anni ’20 e gli anni ’30, in continua evoluzione e trasformazione, dai fondamenti appresi nei suoi studi a Cambridge alle idee sviluppate misurandosi con le questioni del suo tempo, di cui egli si occupa con un’originalità fuori del comune e che soltanto più tardi decide di riformulare in uno schema teorico complessivo. Di teoria economica, come si desume dalla biografia, Keynes si interessa dopo aver svolto gli studi universitari in logica e matematica. Vi si dedica non con lo slancio dello studioso puro ma al principale scopo di disporre di un riferimento logico-concettuale all’interno del quale organizzare le sue felici intuizioni. L’opera con la quale Keynes intendeva «rivoluzionare il modo in cui il mondo tratta i problemi economici» (come scrisse a George Bernard Shaw) venne relativamente tardi. Egli stesso la considerava non perfettamente riuscita, e tuttavia una rielaborazione gli fu impedita dalle condizioni di salute e dal fatto che Keynes decise di spendere le sue ultime energie al servizio del Regno Unito nelle negoziazioni sul nuovo ordine mondiale e sul debito britannico. Nemmeno la Teoria generale, dunque, poté cristallizzare in maniera definitiva il suo sistema di pensiero.
Illustrare il pensiero keynesiano non può perciò tradursi in un riassunto della Teoria generale, ma deve cercare di coglierne i temi originali all’interno di un percorso cognitivo che va valutato per la sua unità di intenti e per il modo in cui quel pensiero può continuare ad arricchire il nostro tempo.
Razionalità e incertezza
Conversando con Moore e Russell sui rapporti fra etica e moralità cristiana prima che i grandi temi economici lo conquistino, il giovane Keynes si interessa di logica, probabilità e razionalità. Keynes non condivide l’idea che per poter decidere razionalmente occorra conoscere esattamente le conseguenze di ciascuna delle nostre scelte. Nelle circostanze in cui tali conseguenze non ci siano note, possiamo ancora decidere con razionalità valutando le conseguenze delle nostre azioni sulla base di un atto di percezione logica e affidandoci al nostro grado di convinzione circa le conseguenze (probabili, ancorché non statisticamente e numericamente calcolabili) delle nostre azioni. Nelle nostre scelte, un comportamento razionale è quello che si fonda sulla robustezza del nostro ragionamento e che preferisce, a parità di risultato, l’opzione meno rischiosa. Ciò significa anche che è più razionale perseguire il bene immediato (piuttosto che il bene futuro) in quanto verosimilmente meno rischioso e più robustamente sorretto dall’evidenza empirica.
Questo atteggiamento metodologico di Keynes fornisce una prima chiave per comprendere la scelta, di fronte alla crisi del capitalismo degli anni ’20, a favore di un capitalismo governato, piuttosto che a favore di una rivoluzione socialista dagli esiti imprevedibili. In una celebre frase, spesso citata (fuori dal contesto originale), «nel lungo periodo siamo tutti morti», Keynes esprimeva l’urgenza di equipaggiare il sistema economico di strumenti appropriati per prevenire o almeno attenuare le sue caratteristiche fluttuazioni cicliche, tra boom e recessione. Di questa prospettiva, facilmente equivocabile come miope o di «breve periodo», Keynes fece invece la premessa per un pensiero teso alla progettualità.
Gli studi giovanili sulla probabilità, a cominciare dalla sua teoria del com portamento razionale in condizioni di incertezza, condizioneranno lo sviluppo delle sue idee economiche che assegnano un ruolo decisivo alle aspettative nel determinare l’andamento corrente dell’economia. In particolare, le aspettative di rendimento degli investimenti futuri determinano le spese e il reddito di oggi. Non è dunque soltanto il futuro a dipendere dalle nostre scelte di oggi, ma sono le scelte di oggi a dipendere dalla nostra visione del futuro. Quando poi l’incertezza diventa tale da non offrire nemmeno una fragile base per orientare le nostre decisioni, diventa razionale persino affidarsi all’istinto, come accade – in positivo – per gli «animal spirits» dell’imprenditore che sfida il futuro con la sua iniziativa, o come accade – in negativo – nei mercati finanziari quando il singolo investitore trova conveniente conformarsi alla media delle aspettative degli altri anche quando le ritiene errate.
Metodologicamente, Keynes rinuncia al concetto di un equilibrio stabile di lungo periodo che gli economisti ortodossi consideravano il fondamento di ogni teoria economica, sia che questa si fondasse sulla teoria del valore-lavoro dell’economia politica classica o sulla teoria dell’utilità della scuola marginalista. E c’è di più: per Keynes non tutte le grandezze sono numericamente misurabili e non tutte le caratteristiche quantitative sono confrontabili. Egli rimane intimamente pessimista sulla nostra capacità di penetrare i segreti del mondo con precisione scientifica e sviluppa un atteggiamento ostile nei
confronti del progetto di fondare l’economia su basi matematiche. Nutre un forte interesse per la statistica economica, ma è altrettanto diffidente nei confronti dell’esercizio di formulare previsioni e trovare regolarità di com portamento e relazioni di causalità sulla base di una collezione di dati relativi alla frequenza di comportamenti passati.
La condizione di fondamentale incertezza di chiunque prenda decisioni economiche ispira tutta l’analisi di Keynes, ma specialmente il modo in cui egli interpreta la funzione del denaro. Da Marshall aveva appreso che gli individui hanno bisogno di denaro per poter disporre di un mezzo di pagamento.
Keynes vede un secondo motivo: quando la nostra percezione di incertezza ci convince a voler rinviare le decisioni di produzione e consumo, il denaro (assieme ad altri strumenti finanziari) diventa un espediente per rimandare le nostre decisioni e conservare potere d’acquisto. Così il denaro non è più soltanto un utile mezzo di scambio ma diventa un mezzo che consente al singolo di domare l’incertezza e al tempo stesso penalizza le possibilità di crescita per il sistema.
Il testo completo è disponibile a questo link
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