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Eccolo Kickboxer il nuovo guerriero, uno dei più famosi e divertenti film di Van Damme del primo periodo, quando muoveva i suoi passi da bimbo nella Hollywood dorata migrata in Cina per brillare di accecante serie B.
Kickboxer è un bel film di arti marziali, anche dopo quasi trent'anni, lo si guarda con piacere senza sentire la pesante datatura per esempio del gemello Senza esclusione di colpi. Ma qui cambia anche la mano del regista, anzi dei due registi, Mark DiSalle e David Worth, che riescono a portare a casa un prodotto senza tanti fronzoli, diretto con occhio attento al tasso di spettacolarità non facendo cadere mai il plot in un'esecuzione sommaria dall'esito ridicolo. Qui Van Damme interpreta con molta più convinzione il suo ruolo rispetto alle mediocri performance passate, non siamo davanti ad un Al Pacino certo, ma ad un attore dall'impatto fortemente fisico che pellicola dopo pellicola migliora spiccando per costanza e determinazione rispetto a tanti suoi colleghi.
La storia è debitrice del precedente Rocky 4 con tanto di tragedia iniziale e rivalsa verso uno spietato combattente straniero ma fortunatamente ogni analogia surclassa il plagio divenendo rielaborazione intelligente di temi conosciuti in un'ottica, quella dei combattimenti di arti marziali, interessante ed originale. La trasformazione, e quindi la maturazione, del giovane Kurt Sloan, da spalla eterna del fratello, Eric, campione di kickboxe, a guerriero bianco in un mondo di chiuso razzismo verso il diverso, come quello dei piccoli villaggi thailandesi che fanno da sfondo alla vicenda, non risulta banale, ma anzi è ricca di sfumature sotterranee, quasi cutanee, che rendono questo film non uno dei tanti del genere, ma il caposaldo.
I due registi forniscono all'opera uno stile ibrido di narrazione, che mischia i combattimenti più brutali con una certa ironia di fondo, basti pensare ai dialoghi tra Van Damme e il maestro Xiao, ma anche al momento di un certo culto dove l'attore belga, ubriaco, si lancia in una danza grottesca per via del suo fisico massiccio. E' questo forse uno dei momenti più geniali dove il ballo si mischia con la violenza, dove un gruppo di teppistelli se la prende con il protagonista e questi a ritmo di musica li sbaraglia come in una sorta di videoclip al sangue. Da ricordare anche i momenti di allenamento del percorso iniziatico di Van Damme/Kurt Sloan all'interno della città morta, luogo di massimo avvicinamento all'entità divina, con i combattimenti passati che echeggiano ancora tra le mura diroccate. Divertenti invece i sadici insegnamenti dell'ascetico sensei Xiao che conta delizie da menu come lanciare dalla cima di un albero noci di cocco sullo stomaco di Gianniclaudio o farlo inseguire con addosso bistecche da cani affamati, fino alla terribile prova del fargli rompere un albero a calci.
Quello che contraddistingue il maestro Xiao (debitore del più popolare Miyagi della serie Karate Kid) dai tanti emuli che si accalcheranno nelle imitazioni di Kickboxer, è l'ironia di fondo, ma soprattutto la filosofia zen di ascetismo bastardo alla base del suo pensiero, nell'idea che chi è portatore di una grande conoscenza deve essere strambo e soprattutto misterioso. Il guerriero Tong Po invece è una variante crudele del precedente Bolo Yeung di Bloodsport, non più un gladiatore semplice d'animo, animato solo dal desiderio di gloria, ma una creatura malvagia, che non esita a punire con sadismo la ubrìs del fratello di Kurt e che violenterà senza remore la giovane Mylee.
Alla frase “Sanguini come Mylee quando l'ho posseduta” il senso di vendetta prevale, i pugni frenati vengono riempiti di rabbia e il guerriero bianco verrà accolto dalla folla con onore.
L'inizio dell'era Van Damme con Kickboxer raggiunge qui uno dei suoi momenti più aurei, è la consacrazione di un nuovo mito del cinema d'azione quando ormai le vecchie glorie stavano andando verso il nulla più sconfortante.
Keoma
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