Al suo secondo lungometraggio, Olias Barco realizza un’opera raffinata, complessa, ma anche caustica, ironica, quasi impietosa: con Kill me please assistiamo, come raramente succede, al passaggio dal tragico al tragicomico, e le provocazioni, generosamente elargite durante il film, trafiggono lo spettatore, sballottandolo da un registro narrativo all’altro, senza troppi complimenti, sfinendolo in una risata che, alla fine, diventa ghigno, una smorfia dove non è più possibile distinguere l’ilarità dal dolore. Si poteva fare ‘peggio’, ma è decisamente abbastanza.
In una clinica privata, situata tra le nevi di una località non meglio precisata, il dottor Krueger (Aurélien Recoing) insegue il sogno di poter aiutare a morire, attraverso la fornitura di assistenza terapeutica, coloro che ne facciano richiesta, siano essi malati terminali o più semplicemente individui esautorati da un’esistenza troppo dolorosa; il vero scopo di questa procedura sembrerebbe quello di distogliere ‘i pazienti’ dall’intento suicida ma, durante il ‘trattamento’, non viene dato alcun sostegno che possa far maturare una contro-decisione.
Il paradosso prende comicamente corpo quando gli abitanti del luogo scatenano una caccia agli aspiranti suicidi, non tollerando più la spettrale presenza ‘dell’impresa mortuaria’. Improvvisamente tutti gli ‘ospiti della clinica’, braccati da un esercito armato, sviluppano un inaspettato istinto di sopravvivenza, cercando ovunque riparo; i tic e le stranezze dei personaggi messi in scena completano la cornice grottesca di un racconto che s’incrina al suo interno.
Incisiva davvero è una delle sequenze finali, in cui il “dottor morte”, elogiando il proprio operato, abbandona la retorica della sacralità della vita, facendo notare quanto pesi un suicidio sulle finanze di uno stato, in termini di perdita di produttività: forse è qui che il film esce allo scoperto, rivelando come il mercato non tolleri la prematura scomparsa di un individuo, nella misura in cui alla diminuzione della forza lavoro (e conseguente diminuzione di profitto) corrisponde una maggiore pressione fiscali sui rimanenti cittadini.
Muoiono tutti, tranne l’ex cantante lirica, che si esibisce nell’interpretazione della marsigliese: è a questo punto che l’ironia diviene ‘impietosa’, trasformandosi nel massimo grado di eticità perseguibile. È un passaggio decisivo, ed è interessante notare che, nonostante la gravità del momento, in cui s’inneggia alla libertà, all’uguaglianza e alla fraternità, valori definitivamente gettati nella pattumiera postmoderna, l’effetto sul pubblico sia ancora comico. Avremmo dovuto smettere di ridere a quel punto, tutti quanti.
Luca Biscontini