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LA RABBIA GIOVANE – USA 1973, 94’. Regia di Terrence Malick.
Beh, non sappiamo se ‘sto ragazzo sia proprio incazzato, in fondo voleva solo andarsene con la sua ragazza, poi prima il padre di lei poi un po’ troppa gente si è messa di mezzo ed è un attimo che ti ritrovi sulla sedia elettrica. È un bel tipo, glielo dicono tutti, si atteggia a James Dean e spara alla gente “come fossero mosche” parole della saggia e distratta compagna di viaggio, due attori più azzeccati non si potevano scegliere per questo film. Dopo aver visto i film di Malick tornando al primo si colgono i punti che interessano l’autore e che ritornano, come nel suo ultimo “Tree of life”; si parte dalle stradine placide lungo i viali che costeggiano le case con giardino ormai conosciute da tutte, i dettagli quasi documentaristici sulla natura, la voce femminile che racconta il film, che si chiede come sarebbe la vita se avessimo fatto altre scelte. C’è un dialogo fulminante nella sua asciuttezza tra Holly, la ragazza, e una appena incontrata con il suo compagno, che Kit deve rinchiudere in un seminterrato in mezzo ai campi per non farli parlare. Holly chiede alla giovane se ama il suo ragazzo, l’altra risponde che non lo sa, poi Holly dice che deve stare con il suo, perché lui si sente in trappola ( a dire il vero il doppiaggio italiano qui si inventa “è disperato dentro di sé”, mentre i sottotitoli dicono “si sente in trappola” più simile all’audio originale ). In uno scenario desolante e magnifico questi due scapestrati se la spassano per qualche tempo, non sanno bene cosa vogliono e neanche come ottenerlo, in qualche modo ci provano.
CITY OF GOD – BRA 2002, 130’. Regia di Fernando Meirelles, Kátia Lund.
4ore compresse in poco più di 2, e i sixties e i seventies, favelas, storie intrecciate, fili da seguire riannodare raggomitolare sciogliere tagliare Bum! Già solo la prima scena dice tutto, una gallina scappa dal suo triste destino gastronomico nelle viuzze impossibili della Città di Dio, inseguita da Zé Pequeno ( il sociopatico che tutti vorrebbero come amico ) e la sua banda, poi una volta in strada alla prima macchina che passa si mette a camminare ( ma le galline camminano? ) tutta impettita, poi arriva il protagonista Buscapé, che sogna di diventare fotografo in mezzo a quella bolgia dove però le occasioni per scattare ( in ogni senso ) non mancano e via parte il film, che è un turbinio di inquadrature sequenze e quella roba fica che concentra una marea di informazioni in un battito di ciglia. Le storie del trio tenerezza ( vi dico solo banane e DP ), Bené, il bandito più fico che c’è, Mané Galinha che deve vendicare la sua ragazza e finisce dentro dopo la guerra tra bande e pare che è successo davvero, intervista alla tv compresa. La droga, il sistema, raccontato come una “gomorra” do Brazil, fino ai randagi, i bambini di strada, pistole alla mano, il futuro che avanza. È tutto giocato sui contrasti appiattiti, un attimo ridi l’attimo dopo muori, le risate si sovrappongono al sangue, al delirio, alla crudeltà insensibile, davvero laggiù si spara alla gente come fossero mosche.
ELEPHANT – USA 2003, 81’. Regia di Gus Van Sant.
Riposo assoluto, uno si mette comodo e guarda un biondino proprio caruccio camminare e camminare, un saluto qui un sorriso là, e poi il laboratorio di fotografia, e la mensa e il parco fuori, ma questi a scuola non fanno mai un cazzo? Poi uno va su internet, dal suo rivenditore preferito di armi e tra una sonatina di Beethoven e un videogioco per allenarsi si fa tardi ed è ora di andare a dormire, che il mattino dopo si spara. La strage alla Columbine o quella ultima di Utoya dànno spesso modo di cominciare un bel discorsetto di sociologia, a me l’unica cosa idiota che è venuta in mente guardando il film è che dove tutto è perfetto qualcosa deve riequilibrarlo, noi abbiamo le scuole che cadono a pezzi, la carta igienica da casa, gli insegnanti meno pagati d’Europa e così ci accontentiamo delle risse di una volta. Oppure: semplicemente dove è possibile acquistare così facilmente delle armi, qualcuno le userà altrettanto facilmente. Comunque dovrebbe uscire il nuovo libro di Steven Pinker sul declino della violenza nel nostro mondo, speriamo non costi troppo.
Tornando al film, mi ha sorpreso rivedendolo l’uso del sonoro, tenue, preso dall’ambiente mi pare e rimescolato nelle scene. E nell’insieme quest’aria pallida e noiosa, la quiete prima della quiete.
DEAR WENDY – USA 2005, 105’. Regia di Thomas Vinterberg ( quello di Festen )
L’ho visto tempo fa e non tutto mi ricordo, però mi sono piaciuti questi specie di Dandies un po’ Goonies, un gruppetto male in arnese, sfigati se non fosse una pessima parola, in cui ognuno ripone il suo coraggio in una pistola che non mostrerà mai in pubblico, che userà soltanto per esercitarsi di nascosto, trovare il proprio stile. Poi il film si perde quando per i ragazzi è ora di uscire allo scoperto e di sparare sul serio, però un’occhiata la merita.
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