“Da quasi due anni a questa parte quel posto è abitato, giorno e notte, ventiquattro ore su ventiquattro, da qualcuno che ne ha fatto la sua seconda casa, la sua ragione di lotta, di vita”. Ci troviamo in uno stabilimento che si affaccia sulla strada padana, al Km 158, e la lotta è quella degli ex lavoratori della Jabil, che Alessandro Braga racconta con passione nel suo libro edito da Round Robin.
L’eccellenza dell’hi-tech italiano ha albergato lo stabilimento di Cassina de Pecchi per quasi 50 anni, un pezzo chiave nella storia della radiofonia italiana, non solo per l’importanza che ha rivestito nel settore, ma anche per la durata della sua attività. Cinquant’anni di storia, di proprietà in proprietà, cambiando denominazione, fino ai giorni nostri: da Nokia Siemens (negli anni 90), passando per Jabil, lo stabilimento arriva nelle mani della Mercatech (nel 2010) e prende il nome di Competence Italia, che lascerà un buco di 70 milioni nei conti dell’azienda. Una storia di mala gestione e speculazione, sulle spalle di 325 dipendenti. Pochi giorni prima del commissariamento di Competence Italia, un ambiguo colpo di scena: Jabil comunica di aver riacquisito la proprieta dei siti italiani, ma il suo obiettivo è la delocalizzazione in Ungheria. I lavoratori iniziano il presidio permanente. Sono passati 765 da quell’11 luglio 2011, ma loro sono ancora lì, 24 ore su 24.
Alessandro Braga, autore di Km 158. Jabil, la fabbrica dimenticata (Round Robin Editrice), ci accompagna in quella pianura padana un tempo ricca e prospera, oggi segnata dal fallimento della maggior parte delle aziende che costeggiavano la strada padana. Leggendo la descrizione di quella strada, a cui Braga dedica l’introduzione, si è pervasi da un senso di smarrimento e nostalgia, che precede la rabbia e l’indignazione che il lettore proverà nei capitoli successivi.
Km 158 è un libro semplice da leggere, frutto di un lavoro giornalistico complesso e preciso. Braga riesce abilmente a sintetizzare gli intrecci aziendali e le scelte manageriali che, inseguendo il profitto, hanno portato al fallimento della fabbrica. Ma queste pagine contengono anche la testimonianza di persone che non si sono arrese a questa logica, volti e parole di uomini e donne che hanno deciso di lottare contro un’ingiustizia che non dipende affatto dalla Crisi. Non è solo la storia della Jabil, è la storia del nostro paese.
“Se fai il giornalista non puoi non imbatterti nella tragedia (che poi, se vai a vedere quali sono le cause, molto spesso sarebbe più corretto chiamarlo reato) delle fabbriche in crisi e della perdita del posto di lavoro di centinaia di migliaia di persone. Anche nella ormai ex ricca Lombardia – la “locomotiva d’Italia” si diceva un tempo – la situazione non è diversa”.
Su questo blog di tragedie, truffe, come questa ne avrete lette parecchie negli ultimi anni; proprio poche settimane fa pubblicavamo un articolo su l’Espresso, Se la crisi è colpa del manager, citando alcuni casi di mala gestione al limite della legalità. Come Agile-Eutelia, i cui dirigenti sono stati condannati in primo grado per bancarotta fraudolenta: un crack pianificato e messo in atto sotto gli occhi accondiscendenti dello Stato. Imprese che sono fallite e hanno lasciato per strada migliaia di lavoratori, sfruttando la Crisi come pretesto per mascherare dei veri e propri traffici di denaro, dove la logica del profitto troppe volte sfora nell’illegalità.
Alessandro Braga dedica un capitolo del suo libro alle “altre Jabil”, ma lascia spazio anche a coloro che ce l’hanno fatta, esempi che infondono speranza: dagli ormai famosi operai dell’Innse di Milano (se non conoscete la loro storia leggete qui), agli ex lavoratori della Maflow di Trezzano sul Naviglio, oggi cooperativa Ri-Maflow. Per non dimenticare mai che il lieto fine esiste, anche nella realtà.
Il libro, stampato a maggio, chiude con l’auspicio di un finale felice anche per i lavoratori e le lavoratrici della Jabil, una speranza che condividiamo con tutti i lettori di questo blog. Questa estate ricordatevi della Jabil, la fabbrica dimenticata, e dei suoi operai specializzati che anche a Ferragosto saranno in presidio, come sempre, 24 ore su 24.
di Marco Nurra | @marconurra