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Km zero vs Bio: il 'dilemma' della galassia gasista

Creato il 24 aprile 2012 da Informasalus @informasalus
CATEGORIE: Alimentazione
biologico
Le alleanze tra consumatori e produttori di uno stesso territorio possono essere un freno contro il rischio cementificazione

Meglio investire per costruire filiere agricole locali oppure acquistare prodotti di qualità indipendentemente dalla zona di provenienza? Attorno a questa domanda si sta confrontando quella galassia multiforme che riunisce le centinaia di Gruppi d’acquisto solidale italiani. La questione era già stata sollevata l’estate scorsa alla riunione dei Gas a L’Aquila. E il tema animerà nei prossimi mesi gli incontri dei gruppi di lavoro territoriali.
Filiere locali contro il cemento
Dal punto di vista della lotta per salvare l’Italia dal giogo del cemento, la costruzione di alleanze virtuose tra consumatori e produttori agricoli di uno stesso territorio è cruciale: la condivisione di una stessa area geografica aiuta, infatti, a fare fronte comune contro le fortissime pressioni della speculazione edilizia.
Ma quanto è sentito il tema del km 0 tra i gasisti? E quanti di loro sono disposti a “sacrificare” la (legittima) aspirazione ad acquistare fin da subito prodotti biologici certificati per accompagnare le imprese agricole locali nella conversione delle proprie colture? Una sensibilità, questa, che produrrebbe almeno due risultati fondamentali: ridurrebbe l’impatto ambientale degli acquisti alimentari e toglierebbe molti terreni agricoli dalle braccia dei palazzinari. Quando si pone questa domanda a chi il mondo dei Gas lo conosce da vicino, emerge uno scenario di luci e ombre.
Luci ce ne sono. Eccome. «Il tema del km zero tra i gasisti è già molto sentito e la sensibilità sta crescendo sempre di più», spiega Magda Morazzoni, della cooperativa Corto Circuito, che, grazie a un’alleanza tra una ventina di produttori locali comaschi, provvede a rifornire 30 Gas cittadini di prodotti agricoli. «Da giugno a ottobre, quando i prodotti freschi sono coltivati dai nostri produttori, il rifornimento di alimenti locali raggiunge il 100%. E la voglia di usare prodotti del nostro territorio supera anche l’esigenza di acquistare cibo biologico certificato».
Quando consumatori e produttori si conoscono e costruiscono rapporti di reciproca fiducia, la presenza della certificazione passa in secondo piano. «Per allargare il numero dei produttori – prosegue la Morazzoni – abbiamo aperto una scuola di agricoltura biologica per sostenere chi vuole convertirsi al bio. Crediamo che possa aumentare il valore delle loro produzioni e i margini di guadagno, ponendo così un argine al rischio cementificazione».
In effetti bastano un paio di dati per capire quanto la conversione agricola possa salvare pezzi importanti di territorio: in dieci anni – precisamente tra il 1996 e il 2006 – i prezzi immobiliari sono cresciuti nelle grandi città del 55% (la media nazionale, comunque, si attesta a +35%). Nello stesso arco temporale, il prezzo della terra, se sterilizziamo l’inflazione, è rimasto stabile. Gli unici casi in cui l’abbraccio del cemento non è il migliore degli investimenti sono quelli in cui la terra è usata per colture pregiate.
Ed ecco che i mille euro pagati in media per un ettaro di terreno agricolo in Calabria lievitano di 500 volte fra le vigne della Valdobbiadene. Ma discorsi analoghi si possono  fare ovunque si crei un’alternativa all’agricoltura convenzionale: «Il biologico tutela il territorio perché preserva i terreni da elementi dannosi e allontana il rischio della speculazione edilizia perché gli agricoltori hanno margini di guadagno più interessanti», osserva Sergio Venezia del Des della Brianza, provincia europea con la maggiore percentuale di territorio cementificato (più del 50%). «Nella lotta contro l’ulteriore consumo di suolo, Km 0 e biologico vanno viste come ricette strettamente interconnesse».
Dove acquistare il biologico?
Ma qui iniziano le ombre. Descritte da un paradosso: in Lombardia, regione con il maggior numero di Gas e primo acquirente di prodotti bio, le superfici agricole coltivate a biologico non arrivano al 2%. Molti Gas si riforniscono quindi da produttori di altre regioni. Con buona pace dei propositi di filiera corta. Significativa in tal senso è la testimonianza di Aequos, cooperativa formata da oltre trenta Gas e coop sociali di Varese, Milano, Monza, Como e Novara, 5 tonnellate di prodotti acquistati ogni settimana, 500 mila euro di fatturato previsto nel 2011: «Noi compriamo solo prodotti biologici. Di questi solo il 36% proviene dalla Lombardia (vedi )» rivela il presidente di Aequos, Franco Ferrario. «Noi ovviamente teniamo all’idea di filiera locale, ma non siamo disposti ad acquistare prodotti di minore qualità solo perché fatti più vicino a casa nostra».
Senza una decisa scelta per spingere gli agricoltori verso la riconversione delle proprie colture, biologico e km zero rischiano di essere fattori contrapposti. Tra l’altro, c’è un altro fattore da considerare, spesso poco percepito, ma di cruciale importanza: la logistica. «In Aequos – spiega Ferrario – diamo ai produttori l’80% del prezzo finale di vendita di frutta e verdura (nella distribuzione tradizionale non si supera il 20%). Eppure riusciamo a offrire prezzi molto popolari (tra il 40 e il 50% in meno rispetto ai negozi). Se non usassimo produttori in grado di assicurarci una logistica efficiente, non potremmo fare quei prezzi, il numero di consumatori calerebbe e non raggiungeremmo mai la massa critica necessaria per spingere i produttori ad accettare la riconversione biologica».
I timori dei contadini del Mezzogiorno
A questo si aggiunge un'altra questione, sollevata in particolare dai produttori biologici del Sud Italia. Se i maggiori consumatori del biologico sono al Nord, il Meridione è al top per superfici agricole bio: Basilicata (20,7%), Calabria (17,7%) e Sicilia (16,5%) guidano la classifica. Comprensibile che gli agricoltori meridionali vedano con un po’ di apprensione lo sviluppo di filiere corte biologiche al Nord Italia. «Il nostro produttore lucano ci dice spesso “se non comprate voi i miei prodotti, a chi li vendo?”», racconta Ferrario. Ma, a voler essere ottimisti, il problema non è insormontabile. E su un punto sono tutti d’accordo: gli acquisti a grande distanza hanno senso solo per quei prodotti che non si trovano nelle campagne vicino casa.
«La parola d’ordine del gruppo di Lavoro “Nuova Agricoltura” al convegno Gas-Des de L’Aquila a giugno è stata di puntare su progetti di sovranità alimentare locale», spiega Davide Biolghini, del Desr Parco Sud Milano. «Non è pensabile che i crescenti Gas del Sud non trovino prodotti agricoli bio per soddisfare la loro domanda perché le vendite vanno al Nord». «Né è pensabile – aggiunge Sergio Venezia – che i consumatori settentrionali acquistino dai produttori bio del Sud mentre i siciliani continuano ad acquistare frutta e verdura proveniente dall’Emilia Romagna». Da qui un obiettivo che trova concordi molti gasisti: «Dobbiamo lavorare per costruire mercati endogeni», suggerisce Venezia, mutuando Vandana Shiva: «Lavorare perché le comunità locali ridiventino sovrane sui propri territori».


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