Marco Rizzo (1983), autore di fumetti e giornalista, per BeccoGiallo ha pubblicato i volumi Ilaria Alpi, il prezzo della verità (disegni di Francesco Ripoli), Peppino Impastato, un giullare contro la mafia (disegni di Lelio Bonaccorso), Mauro Rostagno, prove tecniche per un mondo migliore (assieme a Nico Blunda, disegni di Giuseppe Lo Bocchiaro). Nel 2011 ha curato la trasposizione a fumetti del libro di Philippe Brunel Gli ultimi giorni di Marco Pantani (disegni di Lelio Bonaccorso), edito da Rizzoli Lizard, e il volume Primo (disegni di Lelio Bonaccorso), edito da Edizioni BD. Ha all’attivo diversi riconoscimenti, tra cui il Premio Micheluzzi 2008 e il Premio Siani 2009.
È curatore del blog Mumble Mumble sul sito de L’Unità e fondatore del sito ComicUs.
La formula del volume a fumetti con tema tratto dal reale sta conoscendo una diffusione in crescita. Quali sono le potenzialità di questa formula e quali le possibili frontiere future?
Il mezzo in sé, il linguaggio del fumetto, è già maturo. Certo, le potenzialità e le sperimentazioni sono sempre infinite, e buone intuizioni “rinfrescano” il mezzo (si pensi, che so, ad Asterios Polyp). E certamente il digitale aumenterà il raggio delle possibili novità. Andando più nello specifico, mi stupisce che non ci sia ancora un Gomorra nel fumetto. Una graphic novel che racconti il reale romanzata nel giusto equilibrio, che faccia notizia e dia notizie, e per ciò raccolga un ampio successo. Per sbloccare certe potenzialità, inoltre, saranno necessari maggiori investimenti sugli autori. Non è solo una discussione sul giusto compenso, ma mi riferisco anche a questioni più pratiche. Joe Sacco, il padre del graphic journalism, viene mandato a spese di editori o quotidiani con cui collabora nelle aree calde del mondo, come un qualunque inviato. Difficilmente immagino un editore italiano tentare un investimento simile.
Il potente ancoraggio alla realtà offerto da queste narrazioni può favorirne il successo anche presso un pubblico solitamente lontano dai fumetti?
Dico sempre che questo tipo di fumetti, per il tema o il personaggio trattato, riesce spesso a interessare gente che non ha mai letto fumetti in vita sua o aveva persino pregiudizi verso il medium.
Ci sono degli autori (nel mondo del fumetto, ma anche in quello del giornalismo, della letteratura o della saggistica) che per te sono stati un punto di riferimento nell’approccio analitico e narrativo verso fatti di cronaca?
Nel fumetto, certamente Joe Sacco. Sono affezionato a Delisle, di cui avevo notato il talento quando in Italia non era ancora pubblicato, ma è un approccio talvolta più umoristico. In realtà è il new journalism di Capote, Wolfe, ma anche della Fallaci e di tanti ottimi inviati italiani ad essere alla base di queste ricostruzioni forse un po’ romanzate della cronaca o del passato. Personalmente, poi, credo che il fatto di avere macinato cartelle su cartelle nelle mie esperienze giornalistiche vere e proprie, tra l’altro in città difficili come Palermo e Trapani, mi abbia trasmesso un approccio analitico e soprattutto di metodo più da cronista che da narratore. Ma questo sta più ai lettori dirlo.
Rispetto a un articolo di giornale, il fumetto ha una componente grafica che garantisce un impatto visivo immediato nel lettore. In sede di elaborazione della sceneggiatura ci sono scelte e valutazioni legate allo stile del disegnatore, ovvero alla forma fisica ed estetica che la tua scrittura assumerà?
Certo, come in qualunque altra occasione in cui lo sceneggiatore può permettersi (se gli va) di “tarare” il proprio stile sul disegnatore. In Que viva el Che Guevara, che forse tra i miei volumi è quello con alle spalle un minore lavoro da inchiesta o indagine vera e propria, con Lelio (Bonaccorso, ndr) abbiamo scelto di usare stili di disegno e narrazione differenti a seconda dei momenti storici. Le pagine ambientate durante la guerriglia, ad esempio, sono in un bianco e nero che ricorda lo stile di Alberto Breccia e il ritmo è più veloce, quasi da film d’azione.
Questa edizione di Komikazen è incentrata sulla rappresentazione del reale con sfondo italiano, esattamente la tipologia di soggetti di cui ti sei spesso occupato (le storie di Impastato, Rostagno, Pantani). Credi che l’approfondimento di vicende poco note nei dettagli e di zone d’ombra della nostra storia nazionale possa avere anche un rilievo civile, oltre che artistico?
Assolutamente, è il motivo principale per cui le affronto, che poi è la stessa ragione per cui tratto questi temi nei miei articoli veri e propri, nei miei saggi o quando riesco, nel mio piccolo, a dare un contributo alla società civile della mia città. Viviamo in un paese con problemi di memoria, di verità falsificate o rimandate per decenni, di diritti negati e rincoglionimento indotto. Che si aspetti un quarto di secolo sentenze per delitti di mafia o stragi, che si dibatta ancora sulle legittimità dei martiri della nazione a seconda del loro colore politico, che si accetti senza indignarsi un riciclaggio di ideali e personaggi inquietanti è frutto della mancanza di memoria cronica. Operazioni come il nostro libro su Rostagno, per dirne una, sono un
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