Da Pordenone e Porcia “missione” in Kosovo
E’ partito un progetto di solidarietà nato poco più di un anno fa dai cuori di dieci amici, toccati dalle difficili sorti delle minoranze etniche
“Belove revolution” hanno chiamato questa onlus, “Sii la rivoluzione dell’amore”, perché con il piccolo sforzo che nasce dal più grande e potente sentimento dell’uomo, si possano cambiare le cose, e forse il mondo. “Accendi la speranza” è il nome di questo progetto nato nel cuore di Sacile, che sta raccogliendo con il passaparola, oramai in tutta Italia, medicinali, vestiario, cibo e materiale didattico da portare a questi sfortunati popoli, residenti e resistenti in un territorio ostile che vuole cacciarli dalle terre in cui risiedono da secoli.
Tre viaggi in un anno per accendere la speranza, e adesso il quarto, che parte da Sacile venerdì 20 aprile e via Budapest e Nis in Serbia, toccherà le enclave serbe del paese dei corvi iniziando dall’ospedale di Silovo, dove verrà consegnata un’ambulanza, fino ad arrivare, quasi al temine del viaggio, a Kosovska Mitrovica, provincia a maggioranza serbo kosovara, dove è stato organizzato un torneo di basket con i locali. E dopo otto giorni il ritorno a Sacile, con automobili e furgoni vuoti, ma carichi delle esperienze vissute e da trasmettere.
Venerdì 20 aprile. Piove a dirotto, è una giornata da lupi. Quasi tutti i ragazzi sono arrivati a Sacile, mancano solo i leccesi, che raggiungono il nord con un volo fino a Treviso, mentre da Domodossola sta arrivando l’ambulanza che la Croce Rossa di Villadossola regalerà all’ospedale di Silovo. E’ il giorno della partenza. Il gruppo è eterogeneo. A guidarlo è Fabio Franceschini, sacilese, che del progetto “Accendi la speranza” è il coordinatore, e Gianluca da Pordenone, entrambi con diversi viaggi in Kosovo alle spalle. Poi c’è il resto della comitiva, ragazzi interessati a conoscere una realtà che hanno approfondito ognuno per conto proprio a casa, e che non è proprio quella di cui, seppur poco, parla la stampa. C’è Mario da Conegliano, Federico da Porcia, Giovanni da Verbania, anche se è originario di Napoli, Davide T. di Domodossola, Michael da Perugia, però palermitano di nascita, Guido ed Elisa da Lecce. E poi c’è il gruppo dei romani, il più consistente, con Matteo, Guglielmo, Davide D., Pasquale, salernitano trasferito nella capitale, e perfino Sebastian (extracomunitario dal Canada!), che nella città di Romolo è approdato seguendo il cuore, e qui si è sposato.
Che la giornata sia inclemente non solo per via del tempo lo si capisce da diversi segnali: la vettura di chi deve andare a prelevare i pugliesi all’aeroporto si ferma sul ponte di barche di Noventa di Piave, giusto davanti la biglietteria, e non vuole saperne di mettersi in moto. E’ panico, perché è giusto una strettoia, e l’ingorgo di traffico si forma da subito, in attesa del carro attrezzi. Ma se la cosa viene subito risolta da Fabio, che immediatamente manda Mario di volata in aeroporto a Treviso, ecco che non giungono belle notizie neanche da chi sta arrivando con l’ambulanza, che si ferma sotto la pioggia durante il tragitto verso il Friuli. Poco male, è il giorno dell’elettrauto, perché la prima vettura ha solo un cavo elettrico che si è scollegato e si rimette subito in pista, mentre l’ambulanza arriva comunque nel magazzino di “Beloved revolution” a San Quirino.
Si decide dunque di portare il mezzo della Croce Rossa a far controllare il giorno successivo, lasciando a casa Federico e Giovanni con l’onere di raggiungere il convoglio non appena tutto è a posto. Intanto i ragazzi che sono arrivati in auto, scaricano casse e cartoni pieni di vestiario, soprattutto per bambini, giochi, e cancelleria per le scuole che nelle enclave kosovaro serbe hanno poco o nulla. Il deposito è stato appena affittato, per terra ci sono tanti teli dove sopra sono appoggiati e divisi per genere tutti gli aiuti che arrivano, dai medicinali ai peluches per i bambini. Fabio non sta nella pelle, e nello spazio ancora tanto vuoto di questa porzione di capannone, disegna e divide con i gesti delle mani pannelli immaginari e pareti di cartongesso, per spiegare a tutti come diventerà tra breve questo posto, con l’ufficio e i divisori pieni di scaffali, per ordinare tutto quello che arriverà con il cuore dell’Italia fino a San Quirino. Un toast per buttare giù qualcosa, per non partire proprio a stomaco vuoto. Sono già però le diciotto, e il programma prevede di passare la notte a Budapest. Si sistemano gli ultimi dettagli, si caricano le valigie nel pullmino, si fanno le foto di rito. Poi, finalmente, si parte.
Avanza il furgone carico di materiale guidato da Mario e Gianluca, una vettura con Pasquale, Gugliemo e Matteo, e tutti gli altri otto in pullmino. Si corre sotto scariche di pioggia battente, ma l’entusiasmo di tutti è palpabile, contagia persino le nubi, che dopo il Tagliamento restano alle spalle. Finalmente non piove più, e inizia il cicaleccio gentile che avviene sempre tra persone che non si conoscono e dovranno vivere assieme delle giornate particolari della loro vita. Poi, la stanchezza della giornata si fa sentire. Qualcuno inizia a dormire, qualche altro scatta foto in continuazione, c’è chi riprende con la cinepresa. Il sacilese è concentrato nella guida, attento. Auricolare su, comunica e scambia informazioni con gli altri due mezzi. Ha messo su un CD di heavy metal, ma chi dorme non sembra esserne disturbato. Qualcuno spiega perché sta facendo quel viaggio, parla delle esperienze di volontariato in Kenia e in Birmania. Intanto il paesaggio comincia a cambiare, il verde e l’ordine del Friuli lasciano spazio alla vegetazione aspra del Carso fino a Trieste, dove inizia a calare la sera. Sulla destra si intravede il mare, il navigatore gracchia qualche istruzione, la strada dà indicazioni per la Slovenia: località Fernetti sul confine.
Alla frontiera alzano la paletta, fermano subito il primo mezzo, ma quando anche gli altri due si accodano il poliziotto sloveno fa una smorfia del viso rassegnata, lascia perdere, dà il via libera. Subito sosta alla prima area di servizio, qui la benzina costa 1,34 euro. Poi di nuovo la strada. Ormai è buio. Nova Gorica, Ljubliana, Maribor. Altra sosta per far benzina, è già mezzanotte. Ancora strada. L’autovettura non segue più, si è già persa, ci si ferma sulla corsia di emergenza. Fabio impreca, è stanco, Michael, la mascotte del gruppo, soli 21 anni, scalpita, vuole mettersi alla guida, ci sono ancora quasi 200 chilometri da macinare. Qualcuno, ignaro, dorme della grossa, il navigatore avvisa di svoltare tra 169 chilometri per Budapest. La mascotte-autiere sfancula, tutti ridono. Finalmente l’Ungheria. La svolta arriva dopo un paio d’ore, si arriva all’albergo che sono oramai le due del mattino. E’ un bell’hotel, centrale, davanti la metropolitana, dai mosaici colorati che abbelliscono la hall, da dove si vedono le luci della collina in cui sorge il centro storico. La stanchezza è tanta, come la voglia di una doccia e del letto, ma l’entusiasmo non è calato minimamente. Ritrovo alle otto per chi vuole farsi un giretto nella città sul Danubio, partenza alle 11. Da Sacile e San Quirino verso il Kosovo per portare un po’ di speranza, sembra davvero una grande avventura.
Lieta Zanatta
Il Programma del Viaggio
- Primo Giorno
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- Terzo Giorno