Si rivolge indirettamente alla vicina Serbia il primo ministro albanese, Edi Rama il quale, intervistato, ha affermato che “prima il governo di Belgrado riconoscerà l’indipendenza del Kosovo meglio sarà per l’intera regione”, dicendosi sicuro che “l’esecutivo serbo ha già accettato l’autodeterminazione di Pristina, solo non l’ha ancora detto apertamente”.
Il 17 febbraio 2008 il Kosovo ha infatti dichiarato la secessione dalla Serbia, forte anche dell’appoggio di Nato ed Unione Europea, le quali avevano (ed hanno ancora) tutto l’interesse ad indebolire l’unico paese balcanico ancora politicamente vicino alla Russia; questa indipendenza Belgrado non l’ha però mai riconosciuta, tacciandola invece di essere un atto illegale.
Questa decisione, presa unilateralmente, ha quindi inasprito ulteriormente i rapporti tra Serbia ed Albania, paese che più di tutti nell’area ha sostenuto la causa del Kosovo, essendo quest’ultimo abitato per oltre il 90% da cittadini di etnia albanese.
Ad infiammarsi però sono stati soprattutto gli animi degli abitanti delle due nazioni, portando ad aggressioni ad esponenti delle rispettive minoranze, come più volte accaduto ai danni di uomini politici serbi nel nord del Kosovo a cui, frequentemente, si sono aggiunte vere e proprie sortite contro villaggi e luoghi di culto cristiani.
Nonostante le rassicurazioni di Rama, il quale ha garantito che “una grande Albania è solo un incubo dei serbi ma non sarà mai un progetto per Tirana”, gli atti di nazionalismo stanno invece dilagando e la bandiera calata sullo stadio di Belgrado durante la partita Serbia-Albania è solo l’ultimo, e nemmeno il più grave, di una serie di episodi, spesso violenti, volti ad affermare la presunta superiorità di un’etnia sull’altra.
La sconfitta delle forze serbe nella guerra del Kosovo, combattuta nel biennio ’98-’99, la successiva caduta di Slobodan Milošević e del suo governo e la conseguente crisi economica e sociale dovuta alle distruzioni causate dal conflitto hanno posto Belgrado in una difficile situazione di particolare debolezza, sfruttata dalle potenze dell’Alleanza Atlantica per eliminare definitivamente la minaccia rappresentata dal paese che, nella penisola balcanica, era il più influente in campo sia militare che economico.
Dopo i combattimenti e le violenze, commesse dall’Uck, dall’esercito serbo e dalle diverse formazioni paramilitari attive nella regione sia ai danni della popolazione civile, sia contro luoghi di culto e siti rappresentativi dell’identità dei due popoli in lotta, nonostante siano passati molti anni, l’odio interetnico è ancora presente; strappando il Kosovo a Belgrado si corre ora il rischio di assistere ad una nuova pulizia etnica ai danni della minoranza serba, perpetrata da elementi nazionalisti ancora presenti, attivi e numerosi in tutta la regione.
A questo problema si aggiunge inoltre l’elevata probabilità, data dall’alto tasso di corruzione [1] e dalla presenza di personaggi quali Ramush Haradinaj[2] sulla scena politica del neonato paese, di vedere il Kosovo trasformarsi in un paradiso per trafficanti di droga, armi e prostituzione.
Questo percorso, guidato dall’Occidente e che ha portato all’autodeterminazione tanto agognata da Pristina, potrebbe trasformarsi in una vera e propria bomba ad orologeria posta alle porte dell’Europa.
[1]www.ilgiornale.it/news/l-albania-kosovo-quarto-nel-mondo-corruzione.html
[2]it.wikipedia.org/wiki/Ramush_Haradinaj