Fin dalle prime pagine il pensiero è corso alla letteratura che negli ultimi decenni ha trasmesso le testimonianze degli orrori della guerra e della prigionia, come quelle sull’Olocausto. Capitoli crudi, sconvolgenti, dal Diario di Anna Frank all’Amico Ritrovato, da Se Questo È Un Uomo a La Musica Di Una Vita, passando attraverso la narrativa ebraica. Vicende che spesso mi hanno posta dinanzi all’abisso in cui l’animo umano è potuto, e quindi può ancora, sprofondare. Lustri, decenni, secoli trascorrono mentre le generazioni si trasmettono la Storia senza imparare gli uni dagli errori degli altri.
Ero dunque preparata a provare sgomento, tristezza, ma Zagreb mi ha colpito ancora più forte, e dalla prima riga. Non solo per il carico della conoscenza, il retaggio, ma perché tratta di errori più recenti: l’io narrante è proprio il carnefice, e al lettore non resta nulla a cui aggrapparsi per vincere il disagio e sperare. Gli manca l’immedesimazione in un protagonista che sia spettatore dell’abisso senza esservi sceso.
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