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L’abrogazione del lavoratore

Creato il 06 settembre 2011 da Malpaese @IlMalpaese

L’abrogazione del lavoratoreDi Samanta di Persio

Dal 2006 ho cominciato a fare ricerche per poter scrivere il primo libro Morti bianche. Pensavo che il sindacato fosse il mio principale link per poter intervistare lavoratori e familiari, mi sbagliavo di grosso. Nella pagina dei ringraziamenti sono menzionati tutti quelli che mi hanno fornito materiale o messo in contatto con i testimoni, basta una mano per aiutarsi nei conti (sic!). Scrissi una mail a tutte le sedi Cgil non mi rispose nessuno, quando andai a L’Aquila, la città dove vivo, incontrai la segretaria della Fillea, non le dissi che stavo scrivendo un libro, mi finsi studentessa, la sua risposta fu: “Vai all’Inail” Incominciava la mia mutazione in palla da flipper. Ero contrastata fra due sensazioni: smarrimento e presa di coscienza. La seconda mi spaventava, per fortuna incontrai esponenti di sindacati autorganizzati, la maggior parte provenienti da sindacati di base. Un altro incontro fortunato fu quello con il dottor Luigi Carpentiero di Medicina Democratica. Mi parlò di un fenomeno diffusissimo sul lavoro: il mobbing. Cominciai a fare contemporaneamente due ricerche: infortuni sul lavoro e mobbing. Nel codice penale italiano il mobbing non è previsto come un reato, per questo il lavoratore che incappa in vessazioni sul luogo di lavoro, può soltanto intraprendere una causa civile e chiedere il risarcimento del danno. Fino a che il lavoratore mobbizzato non si ammala di mobbing, la tutela in ambito penalistico non può essere applicata perché è difficile dimostrare il nesso di casualità.  Questa pratica è spesso condotta con il fine di indurre la vittima ad abbandonare spontaneamente il lavoro, senza quindi ricorrere al licenziamento, per ritorsione a seguito di comportamenti non condivisi (ad esempio, denuncia ai superiori o all’esterno di irregolarità sul posto di lavoro), o per il rifiuto della vittima di sottostare a proposte o richieste immorali (sessuali, di eseguire operazioni contrarie a divieti deontologici o etici, etc.) o illegali. Tali comportamenti si verificano sia nel pubblico impiego che nel privato. Secondo l’Inail, che per prima in Italia ha definito il mobbing lavorativo qualificandolo come costrittività organizzativa, le possibili azioni traumatiche possono riguardare la marginalizzazione dalla attività lavorativa, lo svuotamento delle mansioni, la mancata assegnazione dei compiti lavorativi o degli strumenti di lavoro, i ripetuti trasferimenti ingiustificati, la prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto o di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici, l’impedimento sistematico e strutturale all’accesso a notizie, la inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro, l’esclusione reiterata da iniziative formative, il controllo esasperato ed eccessivo. Nella violenza attuata con la strategia delle sistemiche vessazioni morali, per un desiderio di onnipotenza, talvolta inconsciamente, di processi perversi che incatenano psicologicamente le vittime e impediscono loro di reagire. Questi stessi comportamenti, vere e proprie macchinazioni preparate per ingannare, mortificare ed indurre la vittima a fare un passo falso, sono classificabili in sei raggruppamenti: rifiuto della comunicazione diretta, svalutazione e squalifica della professionalità, discredito della persona, isolamento, oppressione mediante angherie, indirizzamento dell’altro all’errore. Ho raccolto molte testimonianze, persone demotivate, svuotate dell’identità, sull’orlo del suicidio, ma grazie ai pochi strumenti che li tutelano dopo vent’anni hanno vinto cause, dopo anni ce l’hanno ancora in piedi e sperano di poter avere un epilogo positivo. Se il governo Berlusconi, la favola del milione di posti di lavoro, (dal 1994 abbiamo perso milioni di lavoratori) concede la possibilità di poter licenziare in deroga all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, di fatto significa poter licenziare indiscriminatamente. In molte realtà aziendali esistono dei veri e propri reparti confino, a questo punto non hanno più motivo di esistere. Ancora una volta, in culo ai lavoratori!

http://sdp80.wordpress.com/2011/09/06/labrogazione-del-lavoratore/



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