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L'accelerazione spiegata?

Creato il 03 marzo 2011 da Stukhtra

Dal vuoto quantistico al vuoto cosmico

di Andrea Signori

ResearchBlogging.org
Anche tu, come Woody Allen, ogni mattina quando ti svegli impieghi più tempo a trovare la vestaglia a causa dell’espansione dell’universo? Sappi allora che una ricerca dei fisici Douglas Shaw e John Barrow, dell’Università di Cambridge, potrebbe aiutarti a capire almeno in parte il perché del tuo peregrinare mattutino (ma di certo non a trovare la vestaglia).

 

Con un primo e un secondo articolo pubblicati su “Physical Review Letters”, i due scienziati propongono una soluzione a uno dei più complicati puzzle della cosmologia: giustificare la presenza della costante cosmologica lambda nelle equazioni della relatività generale. Shaw e Barrow chiamano in causa l’energia del vuoto predetta dalle teorie quantistiche di campo. L’idea sviluppata non è nuova: molti hanno già seguito questo filone di ricerca, senza successo. L’efficacia del nuovo lavoro sembra risiedere nella visione a “storie parallele” dell’universo in cui viviamo. Ma facciamo anzitutto un po’ di chiarezza.

Quando nel 1916 partorì la teoria della relatività generale, che descrive la gravità in termini di curvatura dello spaziotempo, Albert Einstein credeva che l’universo fosse statico: il grande fisico non riteneva plausibili l’ipotesi di un’espansione o di una contrazione. Accortosi però che la sua teoria non prediceva questo risultato, corresse a posteriori le equazioni inserendo un termine contenente la costante cosmologica lambda, affinché l’universo statico fosse una delle possibili soluzioni. In termini fisici, lambda rappresenta una densità di energia dello spaziotempo vuoto (in assenza di materia), con il compito di contrastare l’effetto di contrazione globale dovuto all’interazione gravitazionale in tutta la materia presente.

 

L’accelerazione spiegata?

Le equazioni di Einstein della relatività generale e la costante cosmologica lambda: intruso o ingrediente fondamentale? (Cortesia: A Danehkar)

 

Peccato però che nel 1929 Edwin Hubble, con la legge empirica che porta il suo nome, abbia svelato il comportamento dell’universo: l’espansione. Con buona pace di Einstein e della costante cosmologica, che per molti anni perse ogni interesse scientifico. Il grande fisico tedesco, che brillava per l’onesta intellettuale, definì lambda “il più grande errore della mia vita”.

Successivi studi dimostrarono inoltre che la presenza di lambda non condurrebbe comunque a un universo stazionario stabile, bensì instabile. L’effetto di una costante lambda positiva sarebbe un’espansione che vince la globale contrazione gravitazionale, senza però raggiungere una situazione di equilibrio stabile: al minimo disturbo, l’universo continuerebbe a espandersi. E così è: sono molti i dati sperimentali che ci parlano di un universo in espansione. Accelerata, per giunta. Alla luce di questi risultati, la costante lambda è tornata in auge nei modelli cosmologici che si propongono di dare una giustificazione dell’espansione accelerata. Ma l’origine fisica di questa tormentata lettera e il suo valore sperimentale rimangono ignoti e costituiscono una delle più grandi sfide della fisica teorica.

 

L’accelerazione spiegata?

Le fasi dell’universo nei dati registrati da WMAP. Per ultima l’espansione accelerata, conseguenza dell’energia oscura: colpa di lambda? (Cortesia: NASA/WMAP)

 

Che cosa si cela dietro lambda? L’energia oscura? La meccanica quantistica? Una nuova fisica? Difficile dirlo. I due studiosi dell’Università di Cambridge prendono la strada della teoria quantistica dei campi, rivoluzionando un approccio che in passato si era rivelato fallimentare. Infatti una delle ipotesi da sempre più accreditate è che lambda sia una manifestazione diretta dell’energia del vuoto dei campi quantistici, vale a dire l’energia associata all’assenza totale di particelle. Un’ottima candidata, quindi, per descrivere il contenuto energetico dello spaziotempo vuoto. Eppure i calcoli effettuati conducono a risultati di 120 ordini di grandezza superiori al valore osservato per lambda. Ora però Barrow e Shaw partono dalla relazione intuitiva fra lambda e l’energia del vuoto quantistico, rielaborandola in modo nuovo.

I due studiosi la prendono un po’ alla lontana, però alla fine il risultato sembra funzionare. Considerano l’universo come una funzione d’onda, sovrapposizione di infinite storie, ciascuna realizzazione di un universo con una certa età, massa, parametri fisici e valore della costante cosmologica. In questa sovrapposizione hanno più peso le storie consistenti con la relatività generale e il Modello Standard, cioè le teorie fisiche con il più alto numero di conferme sperimentali. Le storie che concorrono a formare la funzione d’onda interferiscono tra loro, cancellandosi o rafforzandosi, proprio come comuni onde sonore o elettromagnetiche. Mediando l’energia del vuoto quantistico sulle varie storie, si ottiene un valore molto simile alla lambda osservata sperimentalmente da noi, che viviamo in quella principale fra le storie “dominanti”. Nell’insieme di queste storie il valore della costante cosmologica ha un valore fissato e permette di fare previsioni su altre grandezze fisiche (variabili in questo modello, come la curvatura spaziale) che sono in ottimo accordo con i nostri dati sperimentali. Non solo: con l’espansione dell’universo e lo scorrere del tempo cambierebbe la storia dominante e di conseguenza il valore della costante cosmologica osservato. Ciò spiegherebbe il problema della coincidenza, cioè il fatto che il valore numerico di lambda sia (in unità di tempo) simile (proporzionale) all’età dell’universo. Eppure…

“L’idea è buona, ma la logica un po’ meno”, critica Niayesh Afshordi, del Perimeter Institute di Waterloo, in Canada, secondo il quale la formulazione quantistica sarebbe in aperto contrasto con le leggi classiche, assodate su scala cosmica.

Il modello di Barrow e Shaw, sebbene discutibile, è efficace: predice il valore della curvatura spaziale in modo consistente con le osservazioni fatte dal Wilkinson Microwave Anisotropy Probe (WMAP), della NASA. Tuttavia la missione Planck, dell’ESA, raffinerà ulteriormente i dati sperimentali, stabilendo se le previsioni teoriche siano ancora in accordo coi dati e quindi se effettivamente l’idea funzioni. Insomma, come sempre il modello è atteso al varco dall’esperimento.

John D. Barrow, & Douglas J. Shaw (2010). A New Solution of The Cosmological Constant Problems arXiv arXiv: 1007.3086v3

Shaw, D., & Barrow, J. (2011). Testable solution of the cosmological constant and coincidence problems Physical Review D, 83 (4) DOI: 10.1103/PhysRevD.83.043518


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