C’è questa stanza semi circolare, nove letti e noi fuori dietro ai vetri appannati per via del volto attaccato ad essi per quello stupido tentativo di voler sentire se parla, cosa dicono, se si lamenta, se sa che noi siamo lì. Perché non ci può vedere, di spalle com’è, nemmeno propriamente di spalle perché è steso e vedi solo la testa nuda e i pochi capelli di sempre che sono la prima cosa che noti in quella disperata corsa per capire dov’è, non appena l’infermiere apre la porta: i parenti di chi è stato operato stamattina restano fuori, per gli altri questo è il vostro camice, mettete la mascherina e i copri scarpe.
L’acquario è questa stanza dove tutto sembra ovattato e rallentato come corpi immersi in acqua, l’acquario è le lacrime di chi resta fuori, fronte incollata al vetro, ed è le lacrime di chi esce, troppi tubi e cavi attaccati ad una sola persona.
L’acquario dura un’ora: perché l’infermiere si è avvicinato? Cosa sta controllando? Perché parla con il dottore? Ah guarda sorride, guarda sta parlando con lui e lui sta rispondendo allora è sveglio, ditegli che siamo qui, proprio dietro la sua testa, però piano altrimenti si emozione, perché lui si emoziona sempre e ora il cuore deve restare tranquillo, deve fluttuare sereno sotto lo sterno e le costole richiuse.
L’acquario è un limbo in cui conosci storie di persone che non rivedrai mai più ma delle quali ricorderai gli occhi gonfi e non truccati, perché quando sai di dover piangere devi fare a meno del mascara che cola.
L’acquario è il giorno dopo quando leghi il camice e la mascherina di corsa e entri senza guardare gli altri e lui ti vede da lontano e ti sorride e per ogni volta che ti dice mi fa male tu gli stringi più forte la mano e senza piangere gli dici poi te lo scorderai e domani sarà meglio di oggi. Hai le mani fresche, tienimi la mano. E tu con la destra tieni la sua sinistra senza flebo, senza fede, senza orologio e con la sinistra gli accarezzi piano le dita prima che si riscaldino anche le tue.
L’acquario è il giorno dopo ancora, che è sempre migliore di quello precedente, senza lacrime, hai sete? Ho bevuto ma quanto vorrei un gelato. Domani no, ma lunedì te lo porto. E poi mimare, gli ultimi cinque minuti prima di signori si esce dall’altra parte dei vetri a lei perché lo dica a lui, il risultato della partita e con l’alfabeto dei bambini il nome di chi ha segnato.
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