Riporto un articolo davvero interessante, che fa riflettere su certe affermazioni che ultimamente vengono ripetute di continuo tipo slogan “Lions on the move” “Il progresso dell’Africa” e via dicendo. Sono assolutamente convinta delle potenzialità e dei risultati positivi dell’economia africana e del suo avanzare, anzi ne sono una forte sostenitrice, ma talvolta si tende a mostrare una prospettiva esagerata. Sentiamo una voce fuori dal coro…
Con meno di 2000 miliardi di dollari di Pil (ossia il 4% del Pil mondiale) , 14% della popolazione mondiale, 54 paesi e 17 Borse valori mobiliari, l’Africa ha un divario da colmare. Il quantitativo emergente attribuito al continente è meritato? Cinque super indici permettono di rispondere affermativamente. Uno solo, anche se molto determinante, rifiuta la tesi dell’emersione.
1-Crescita robusta e sostenuta
Tra il 2005 e il 2012, la crescita del Pil del continente è del 57% a parità di potere d’acquisto, prima del Brasile e della Cina (50% ciascuno) e dietro la Cina e l’India che hanno raddoppiato la grandezza delle loro economie nello stesso periodo. Paragonate a queste, le economie degli USA e del Giappone sono aumentate solo del 20% nello stesso periodo, avendo perduto la parte più importante del Pil mondiale.
2-La diversificazione degli IDE
Fino ad una data recente, gli investimenti diretti esteri in Africa riguardavano i settori estrattivi. Ormai, i flussi riguardano anche i settori dei servizi (Banche, telecomunicazioni, grande distribuzione, salute, ecc). Tuttavia, nonostante questi progressi, il settore estrattivo rimane preponderante come lo dimostra la ripartizione degli investimenti diretti esteri. Così, tra il 2009 e il 2012, la Nigeria, 6° esportatore mondiale di oro nero, è stato il primo destinatario di questi flussi, con 7,8 miliardi di dollari, prima dell’Egitto (4,2 miliardi di dollari), del Sudafrica (4,1 miliardi di dollari), del Ghana (2,7 miliardi) e altri paesi esportatori di materie prime come lo Zambia (primo esportatore di rame) e il Mozambico (i cui campi offshores sono ora contesi a livello mondiale tra asiatici, europei ed americani).
3-Lo sviluppo del mercato dei capitali
Le piazze finanziarie del Sudafrica, d’Egitto, di Maurice e del Marocco, membri del World Fédération of Exchange (WFE), presentano tutte le strutture dei mercati finanziari dei paesi emergenti, con gradazioni diverse. Il Sudafrica, che pesa per l’80% della capitalizzazione di borsa del continente, ha un ruolo di locomotiva in un continente che conta 17 piazze finanziarie.
4-Lo sviluppo delle classi medie
L’Africa conta una classe media valutata sui 300 milioni di abitanti ossia la popolazione degli USA. Ciò lascia supporre un’accellerazione verso i servizi cittadini e finanziari per accompagnare questa classe media. Le banche, le compagnie assicurative e il settore delle telecomunicazioni dovranno ancora continuare a crescere, contribuendo così alla ricercata diversificazione economica.
5-La formazione dei grandi insiemi
La decisione di un passaporto economico per la CEMAC per il primo gennaio 2014 s’iscrive in una tendenza già vecchia in Africa occidentale e in Africa orientale, che ci insegna che la dinamica dell’integrazione è innanzitutto sotto regionale e poi regionale. Questi raggruppamenti hanno un effetto accelleratore dello sviluppo economico. D’altronde è evidente che il fenomeno dell’emergenza, che suppone la trasformazione strutturale del tissuto economico e sociale (passaggio dall’esportazione semplice delle materie prime alla semi e alla trasformazione, aumento delle ricchezze, ampiamento delle classi medie, dinamismo delle professioni liberali, sviluppo dei servizi, ecc…) è visibile in Nigeria, in Sudafrica, in Egitto, ecc. Se si dovesse tenere conto solo del PIL come criterio, la Sierra Leone, che ha realizzato un crescita del 17% tra il 2009 e il 2012 (cifre del FMI riportate da Bright Africa Report e Kusuntu Le Club), sarebbe il paese più dinamico dell’Africa seguito dal Ghana (12%), dalla Nigeria (9%) dal Mozambico (9%), dall’Etiopia (8%) e dalla Libia (7%). Nelle loro configurazioni attuali, nessuno di questi piccoli Stati africani si avvicina sul piano demografico ed economico ad uno dei paesi del BRIC. Per ricordarlo, la popolazione dell’Africa è di 1 miliardo di abitanti, meno della Cina (1,3 miliardi) e dell’India (1 miliardo d’abitanti).
6- l’industrializzazione, l’anello mancante
Se questi 5 criteri avvicinano il continente all’emersione, ce n’è uno che ci ricorda il cammino che resta ancora da percorrere. L’industrializzazione, chiave di una trasformazione vera dell’economia africana, non è ancora effettiva. «Tra il 1985 e il 2009, la parte dell’Africa nel valore aggiunto del manifatturiero mondiale è passata dal 6.2% al 3.3% mentre questo stesso dato è passato dal 47% al 74.2% per i paesi dell’Asia », ricorda Carlos Lopés, segretario esecutivo della Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa. «Pensiamo che i prerequisiti per l’industrializzazione non siano ancora presenti. Infatti, l’Africa accusa un deficit in materia d’infrastrutture molto serio, di un capitale umano e finanziario limitato, di una mancanza di personale qualificato e di un ambiente politico e istituzionale inadeguato. E’ una base insufficiente per acquistare la competitività necessaria che permetterebbe di diversificare le ricette per l’esportazione. Rimediare a questi deficit deve costituire la più grande priorità dei paesi africani negli anni a venire», aggiunge Lopés.
Serge Attapindé Bafoulé, Yaoundé
Fonti: Perspectives économiques de l’Afrique (PEA, 2013); rapport FMI 2013; financialafrik.com
Fonte: www.africanews.it