Magazine Società

L’alba del morto vivente

Creato il 20 aprile 2010 da Paperoga

L’alba del morto vivente

Beh diciamo che per farvi capire il trauma devo partire da molto lontano co sto post. Diciamo che il maggio del 1994 può andare. Dunque, diciannovenne, patentato da un anno, andavo a scuola con una mini-rover molto fica ma che tracannava tanto di quell’olio che mio padre la vendette a calci l’anno successivo. Terza liceo (notare il vezzo insopportabile di noi liceali classici di ostinarci a chiamare così la quinta superiore), ai miei tempi si portavano due materie per gli orali. Una volta scelte italiano e storia, e considerato che il secondo quadrimestre delll’ultimo anno come tutti sanno non porta voti ma solo l’ammissione scontata all’esame, intorno al venti maggio salutai tutti e mi ritirai per preparare l’esame di maturità. In quel momento finiva la mia carriera di studente, e la prima, primissima cosa che pensai fu: ho finito, chissenefrega per quanto tempo, di svegliarmi alle 7 di mattina…
Da quel momento, infatti, per una serie di fortunate coincidenze ma ancor più per una manifesta tendenza al cazzeggio spinto oltre ogni limite post-adolescenziale, la mia sveglia “lavorativa” è sempre oscillata tra le 8,15 e le 9 e mezza. Sette anni di università da non frequentante (la forma di vita umana più vicina agli ameboidi), cinque anni tra dottorato e ricerca universitaria, un anno sabbatico/concorsuale, tutti vissuti con la sveglia allegra ed elastica del maschio latino e scansafatiche (sarà per questo che ho una pelle splendida e riposata). Persino lo Studio Cavaturaccioli, infine, mi ha permesso di conservare nell’ultimo anno questo invidiabile bioritmo mattutino.
Ma ogni cosa finisce. Due settimane fa ho ceduto alle lusinghe del posto fisso, alla chiamata del contratto a tempo indeterminato, alle sirene dello stipendio sicuro al 27 del mese. Ed è successo che ho riscoperto l’insostenibile orrore dell’alba. Se per andare a sturare ingorghi legali poteva bastare un treno alle nove e mezza, il mio nuovo tiranno, chiamato suadentemente badge elettronico, richiede che io sia al lavoro entro le nove. Per non farvela lunga, ma il mio treno adesso è alle 7 e mezza di mattina. Sette e mezza: due fottute ore prima. Altro che fuso orario, un vero e proprio jet lag fisico e mentale mi ha investito e ridotto a metà tra lo stato liquido e lo stato solido, gelatinoso direi che è il termine appropriato. Per due settimane ho proferito poche e brevi parole, se si escludono i bestemmioni delle sette meno un quarto. Sono dimagrito un kilo, ho accumulato cartoni di pizza sul tavolo, se lavoro al pomeriggio quando torno divoro chili di taralli rigorosamente pugliesi ed etti di parmigiano rigorosamente reggiano (io che mi cucino sempre un piatto caldo cascasse il mondo), ho ridotto la casa in un letamaio, e la massima attività cerebrale che sono riuscito a compiere rientrando da lavoro è stata quella di giocare alla Xbox smembrando mutanti spaziali con una motosega laser tra un molle e freddo trancio di pizza e l’altro, fino ad addormentarmi sul divano.
I primi giorni, ingenuamente, mi svegliavo come il Marchese del Grillo, lemme lemme andavo in bagno, accendevo la radio e  mi facevo il thè come al solito, memore delle mia sveglie lente da pascià di un tempo. Il risultato era che a 2 minuti dal termine ultimo per uscire di casa ero ancora in pigiama col thè bollente in mano, le chiavi di casa disperse, i denti ancora da lavare, e la rassegna stampa di radioradicale in sottofondo. Era evidente che qualcosa andava modificato.
Oggi, sebbene fantozzianamente possa limare in efficacia tempistica una buona manciata di minuti, sono già più soddisfatto. Da qualche giorno funziona che suona la sveglia vado in bagno piscio lavo la faccia apro la finestra per arieggiare chiudo la finestra dopo due minuti mi vesto bevo un bicchiere di spremuta lavo i denti prendo lo zaino ed esco. La colazione la faccio solo una volta arrivato a destinazione. Devo ammettere che non ho ricordi del tragitto a piedi tra la casa di marzapane e la stazione: vago in un imprecisato stato catatonico, raggiungo la stazione come un droide protocollare, quasi obnubilato da una misteriosa  assunzione di bromuro, e becco il binario e il treno giusto credo solo grazie a del buon culo.

Eppure dicono che l’aria fresca del mattino faccia bene. Mah. Dopo due settimane sento di essere invecchiato di un anno, e la mia pelle non è più così splendida. Però mi ha sorpreso trovare per strada così tanta gente. Credevo che uscendo fuori mi attendesse un panorama da “ultimo uomo sulla terra”. Una città deserta, ed io che cammino sull’asfalto inebetito dalla solitudine, col treno vuoto che mi attende. E invece mi confondo con migliaia di ebeti. E’ questo il mondo che vive al di fuori dello spaziotempo di un fancazzista? Passino gli studenti delle superiori (la forma di vita umana più vicina agli ameboidi dopo l’universitario fuori corso), ma vedere così tanti lavoratori in treno con  la stessa voglia di morire nascosta nel cuor, mi ha fatto capire che razza di fortunato figlio di puttana sono stato per quasi 17 anni. Per carità, non mi sento condannato a svegliarmi all’ora dei fagiani per tutta la vita. E sono quasi sicuro che, dovesse continuare questo lavoro, troverei comunque il modo per alzarmi alle 8 e mezza, si trattasse pure di trasferirmi nella lussuosa casa davanti all’ufficio accendendo un mutuo capestro. Diamine, continuo a ritenere profondamente contronatura l’alzarsi così presto. Ma poi, che cazzo di fretta c’è? Capisco i galli e le galline, ma perchè crisbio bisogna cominciare a produrre mentre l’aurora balugina all’orizzonte? E sì che ora l’è primavera, esco che il sole mi illumina e mi sostiene. Cazzo, se penso al prossimo inverno emiliano, che quando esci di casa alle 7 ti serve una torcia e ti accoglie la strega di Blair, immagino che dovrò munirmi di copiosi antidepressivi a largo spettro.



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Dossier Paperblog

Magazine