Si dicono sempre le stesse cose. Non ci sono più le mezze stagioni, una volta qui era tutta campagna e le domeniche d'agosto quanta neve che cadrà - ma se il tempo continua così non mi stupisco che questa estate possa concludersi con una nevicata. Nel mondo del cinema si dice però pure che sono terminate le idee, che ormai non si fanno più film belli e che i blockbuster che escono adesso fanno praticamente tutti schifo. Vero solo in parte, perché a mio parere molti prodotti 'commerciali' - come se i registi autoriali facessero film gratis, dico io - risultano deludenti per un semplice motivo. Non hanno anima. E semplicemente perché ormai si intende il mezzo cinema come un qualcosa da assimilare in fabbrica, alla pari di un'automobile, senza che venga fatto con passione. Ricordo che quando ero piccolo riuscivo a vedere film di cassetta che però mi trasmettevano qualcosa, avevo i dinosauri e gli alieni di Spielberg, i primi Happy Popper, Dragnhearth e quelli che sono stati i migliori cartoni della Disney. Tutte pellicole che forse non potevano essere annoverate nei saloni d'essai ma che riuscivano a fare quello che dovevano: farti sognare e intrattenere con una storia intelligente. Adesso, che oltre a quelle economica sembriamo patire una crisi di idee (ammettiamolo, siamo in un'epoca dove sembra che tutto sia già stato detto) e d'intelletto, è possibile ritornare di nuovo a quei fasti?
Il giovane scienziato Will Rodman sperimenta su degli scimpanzé un potenziamento dei ricettori neuronali, esperimento che può essere una cura per l'Alzheimer. Quando però le sue cavie dimostrano una propensione alla violenza e vengono di conseguenza abbattute, lo scienziato prende di nascosto un cucciolo di scimpanzé e lo alleva a casa propria, continuando in privato le ricerche. Però...
Dicevo nel primo paragrafo che adesso a Hollywood hanno terminato le idee e che non sanno più emozionare. E l'ho pensato per molto tempo, divenendo per un breve tratto della mia vita un radical chic dei più insopportabili, perché dovevo aprirmi a un mondo cinematografico che sapesse contenere il mio immenso ego di spettatore. Poi per fortuna sono cambiato, ma rimaneva sempre una parvenza di delusione nel vedersi l'ennesimo titolo 'distensivo' che però mi faceva pensare come fosse possibile che gente così incompetente venisse pagata per fare un lavoro così, scusatemi il termine, elitario. Poi ho visto questo Rises of the planet of the apes e ho dovuto cominciare a fare un po' di conti. Perché innanzitutto questo film non dice nulla di nuovo. Come si poteva ben capire dal titolo è legato a doppia manetta allo storico film con Charlton Heaston, Il pianeta delle scimmie - per favore dimentichiamoci del remake di Tim Burton - che a sua volta era tratto dal libro di Pierre Boule, pubblicato per la prima volta nel 1963. E' da più do cinquant'anni quindi che questa storia ci viene propinata, sempre con delle dovute varianti, ma sempre del medesimo racconto si tratta. Qui quindi parte l'idea di farne un remake, dopo i cinque film classici e il remake del darkettone, per spiegare come la colonizzazione della terra da parte di un gruppo di scimmie intelligentissime sia stato possibile. Ammetto che a me la cosa all'inizio non aveva per nulla entusiasmato, anzi, mi sembrava un inutile allungamento di un polpettone che Italia1 e Retequattro ci riservavano ogni due anni in maniera martellante, ma... beh, questo è davvero un bel film. Un film che non racconta nulla di nuovo ma che sa raccontarlo in maniera efficace e ben congegnata. Ovviamente non è esente da dei particolari difetti, ma sono tutte cose funzionali al genere e che non mi hanno infastidito. Fondamentalmente i tre sceneggiatori non hanno fatto un miracolo, ma semplicemente la cosa giusta: si sono presi i tempi necessari. E perlappunto ogni cosa avviene secondo un preciso schema narrativo, si ha lo spazio per l'introspezione dei personaggi (più o meno pelosi che siano) e quello che ne risulta alla fine è una storia che ha cuore. E che ne ha abbastanza da scrollarsi di dosso la brutta nomea di prequel, dimostrando che quando una cosa è fatta con passione e perizia può lasciare parecchio inaspettati e sorpresi. Così come mi sono sentito io. Mi sono incuriosito con quel bell'inizio, mi sono divertito nel vedere Cesare crescere [per a cronaca, lo ha interpretato Andy Serkins con la stessa capture motion che gli ha permesso di personificare Gollum e King Kong], mi sono rattristato quando lo hanno imprigionato e l'emozione è salita alle stelle quando ha gridato quel suo NO così sonoro e vorticoso. E mi sono esaltato come un scimmia, scusatemi il brutto gioco di parole, quando gli scimpanzé hanno fatto la rivolta finale sulla strade americane. Poi ovviamente tutto si è concluso come mi aspettavo, lasciando il finale abbastanza aperto per farci un seguito e tutto il resto, ma è stata una visione davvero appagante e che, nel suo piccolo, ha riservato dei monti di buon cinema, complice la regia di Rupert Wyatt competente e perfettamente ritmata. E forse gli umani saranno davvero peggio delle scimmie o degli altri animali, ma una volta su mille imparano forse a fare le cose per bene. Perché questo film non ha aggiunto nulla che non sia già stato detto e non si è rivelato un prodotto artistico notevole, anzi, ha favorito il rilancio di un franchise che sicuramente porterà bei soldoni nelle tasche dei produttori. Ma sapete che vi dico? Chissenefotte! La passione qui c'è stata e s sente tutta.
E speriamo che si senta pure nel seguito Apes revolution - Il pianeta delle scimmie, perché sarebbe davvero un gran peccato se anche a questo giro ci perdiamo in un bicchier d'acqua.Voto: ★★★ ½