L'Amanita#33 - Jane Eyre

Creato il 20 maggio 2014 da Loredana Gasparri
Jane EyreCharlotte BrontëTutta colpa di Dickens. Sì, perché se “il nome” più grande della letteratura britannica è zia Jane, quando penso al periodo vittoriano questa singolare famiglia al femminile offusca il “prolissico”. Ergo, dopo una dose massiccia di “colui che abusò”, urge depurazione. “Cime tempestose” in questo momento sarebbe eccessivo. “Shirley” è breve, ho bisogno di un volume più impegnativo. E “Jane Eyre” è sullo scaffale più basso… aggiudicato!La trama è nota, anche per le versioni cinematografiche. Guarda caso, ho appena finito di leggere il romanzo…e sento che da qualche parte trasmettono il film. Apro una parentesi: dalla musica sembra la versione di Zeffirelli. Io non sono un’esperta di cinema, sono abbastanza iconoclasta, ma non amo questo regista. Mi sembra parecchio caramelloso: edulcora qualcosa che nasce amaro. Puoi mettere zucchero nella cioccolata fondente? Abominio! Parentesi chiusa. Eppure non ci sarebbe bisogno di film: le parole sono così potenti da creare immagini nitide nella mente dei lettori. Jane Eyre è un grandissimo personaggio. In genere si crede che le donne siano molto quiete. Le donne invece provano gli stessi sentimenti degli uomini. Hanno bisogno di esercitare le loro facoltà, di provare le loro capacità come i fratelli; soffrono come gli uomini dei freni e dell’inattività, e fa parte della mentalità ristretta dei loro compagni più fortunati il dire che si devono limitare a cucire e a far la calza, a suonare il piano e far ricami. È stupido condannarle o schernirle, se cercano di fare di più o imparare di più di quello che è solito al loro sesso.Oppure:Posso vivere da sola, se il rispetto di me stessa e le circostanze me lo chiederanno. Non ho bisogno di vendere l’anima per comperare la felicità. Ho un tesoro interiore che mi manterrà viva anche se tutti i piaceri esterni mi saranno negati o offerti a un prezzo che non potrò accettare. Ogni volta mi fa pensare a “La tempesta” di Giorgione, non so perché questa associazione di idee. È un romanzo ben congegnato, con parecchi chiaroscuri e pennellate cupe con improvvisi sprazzi abbacinanti. C’è la stessa Gran Bretagna industriale e rurale descritta da Dickens, la stessa umanità con vizi e virtù, ma uno sguardo diverso. Lo sguardo di una donna che non si sente inferiore ad un uomo. E mi scappa un sorriso. Ogni volta che lo leggo, mi stupisco del reverendo St. John. Ricordo che esiste, eppure continuo a rimuoverlo.
Deformazione professionale, immagino… 

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