Una delle poche certezze rimaste nel traballante sistema economico europeo è sempre stata, a detta di molti osservatori, la solidità della Germania. Appartenente dell’ormai ristrettissimo gruppo dei Paesi a tripla A che sono rimasti nell’UE, l’economia tedesca è uscita dalla crisi finanziaria del 2008-2009 con un’industria dell’export rivitalizzata e una disoccupazione molto bassa.
I motivi di fondo del buon andamento economico della “Locomotiva d’Europa” sono quasi sempre stati ricondotti alle politiche del governo e al risparmio sulla spesa effettuato negli scorsi dieci anni. Inoltre, la riforma del lavoro e del welfare “Hartz” dei primi anni 2000, che ha tagliato le prestazioni e reso più facile per le imprese creare posti di lavoro, poco protetti e spesso precari, si può dire abbiano ridotto il costo del lavoro ed incoraggiato più persone a lavorare. Nel frattempo, la morigeratezza fiscale, imposta dalla costituzione tedesca, sembra aver sottoscritto la buona performance economica della Germania.
Quindi tutto merito delle loro scelte lungimiranti? Della mitica efficienza tedesca? Dei tagli alla spesa e dell’austerità, divenuti mantra anche per le misure di risanamento europee?
Non tutti la pensano così. In un articolo pubblicato recentemente dall’autorevole rivista statunitense Foreign Affairs, pubblicata dal Council on Foreign Relations, i meriti della Germania vengono si riconosciuti, ma inseriti in un quadro di più ampio respiro. La rivista sostiene che oltre le già citate riforme:“Tuttavia le fonti del successo economico tedesco non stanno, in ultima analisi, nelle riforme del mercato del lavoro e nel conservatorismo fiscale, ma in un processo durato un decennio di aggiustamento delle relazioni commerciali e lavorative associato con la posizione della Germania entro l’unione monetaria.” Inoltre, la Germania ha approfittato dell’attuale debolezza dell’Euro per rafforzare le proprie esportazioni, senza contare la sua profonda influenza al momento della creazione della BCE: “Un Euro relativamente debole a confronto di quanto sarebbe in periodi economicamente più floridi – o di quanto sarebbe il marco tedesco – ha sostenuto ulteriormente l’export tedesco. Un’altra benedizione per gli esportatori tedeschi è stata una Banca Centrale Europea su misura tedesca, data la loro ossessione per la bassa inflazione e la stabilità dei prezzi.”
Ma uno dei fattori che ha inciso di più in favore dell’economia tedesca, che spesso viene taciuto, è la crisi di tutti gli altri Paesi della zona euro. Secondo gli autori dell’articolo la Germania ha tratto vantaggio dalla crisi degli altri Paesi della zona euro in ben tre varianti: “Il primo è l’involontario e inatteso boom del mercato immobiliare, che è alimentato dalla crisi del debito in Europa … la recente crisi del debito ha stimolato gli investimenti in beni immobili in Germania, percepiti come “beni rifugio” per gli investimenti in tempi di incertezza economica e bassi tassi d’interesse.” La seconda variante riguarda il finanziamento del debito tedesco: “lo status della Germania come “porto sicuro” ha aumentato le possibilità del paese di prendere a prestito denaro a tassi d’interesse molto bassi (a volte anche negativi) durante la crisi del debito. In cerca di investimenti sicuri, gli investitori si riversano a comprare obbligazioni del debito pubblico tedesco”. Ad ultimo, ma non meno importante il fattore immigrazione, in particolare quella dei lavoratori specializzati: “dopo decenni di carenza di lavoratori specializzati per il settore manifatturiero, e di una società che invecchiava e si riduceva, minacciando la sostenibilità del welfare, la crisi del debito ha stimolato un afflusso di immigrati ad alta specializzazione dai paesi messi in ginocchio dalla crisi. Gli Uffici Statistici Federali tedeschi stimano per il 2012 un’immigrazione netta di circa 370.000 persone – un numero visto l’ultima volta vent’anni fa.”.
A dispetto di tutti questi vantaggi di cui a tutt’oggi gode la Germania, l’articolo lancia un monito ed un invito a cambiare la rotta, per il bene non solo dell’UE ma della Germania stessa: “Convincere la Merkel a guardare le crepe nelle basi economiche della Germania e a porre fine al conservatorismo fiscale tedesco, sarà un arduo compito. Ma un modello di export che si affida troppo ai mercati emergenti, con una domanda interna debole, e un’Eurozona in via di disfacimento, potrebbe travolgere e distruggere tutta l’unione monetaria e lo stesso “miracolo” tedesco. L’idea che l’austerità abbia contribuito al successo economico tedesco fin dal dopoguerra è in gran voga nel mainstream economico. Ciononostante, smetterla con l’austerità è necessario per aiutare l’Eurozona a riprendersi e generare una crescita sostenibile … Un tale cambiamento politico aiuterebbe a stabilizzare un’Europa afflitta dalla crisi e darebbe il segnale che la Germania si impegna a risolvere i problemi sistemici del continente anziché continuare a tirare avanti in qualche modo.”
Gli autori chiudono l’articolo con un avvertimento, che mette seriemente in discussione la solidità economica tedesca: “Sebbene la Germania possa sembrare isolata da ciò che accade nel resto dell’Eurozona, uno sguardo più attento rivela la fragilità di questo gigante dell’export. La Merkel è avvertita. Se continua a voler mantenere vivo il miracolo tedesco, deve dare una mano a risollevare il resto d’Europa. La Merkel dovrà permettere una riduzione dell’austerità nell’Eurozona e politiche che generino più spesa, sia in Germania che all’estero. Il rallentamento dell’economia tedesca negli ultimi due trimestri e le previsioni pessimistiche sulla crescita dovrebbero essere dei segnali d’allerta che costringono la Merkel a decidersi per questi cambiamenti. In caso contrario, la Germania potrebbe tornare presto il “malato” d’Europa.”