Anna Lombroso per il Simplicissimus
Da tempo rifiuto di sentirmi corresponsabile di scelte che non solo non ho compiuto ma che addirittura mi hanno danneggiato. Non appartiene al mio costume e alla mia visione del mondo accontentarmi del meno peggio e fare paragoni per consolarmi di Monti per via che apparentemente ha chiuso l’era di Berlusconi: la continuità è garantita anche grazie alla sobrietà e la recessione è confermata dalla stessa cieca ubbidienza a una ideologia e ai suoi officianti.
Ma anche io oggi mi accontento. Stamattina perché già dal pomeriggio voglio riprendermi il diritto di felicitarmi per la tenuta della democrazia in America augurandomi che smettano di esportarla, di compiacermi per un nero alla presidenza, senza dimenticare che il razzismo sa prendere altre strade, ricchi contro poveri, garantiti contro precari, neri contro gialli. E voglio rammentare che questa crisi anche morale ha avuto origine dall’avidità di un sistema ben collocato dietro le cristalline pareti di Wall Street, mosso dalla rottura del compromesso tra economia e finanza partita proprio da là con la liberalizzazione dei movimenti di capitali. E che questi fenomeni hanno rafforzato la perversa potenza del mercato indebolendo proprio quella democrazia della quale gli americani si sentono custodi, confliggendo con la sovranità di Stati e popoli, ferendo a morte l’welfare e cancellando le parole coesione, solidarietà, amicizia.
Agli americani piacciono le guerre e da tempo ormai le perdono. C’è da sperare che quella partita da là con l’arma micidiale della turbo finanza, che ha provocato un rovesciamento dei rapporti di forza tra capitale e lavoro e tra capitalismo e democrazia, che ha comportato enormi disuguaglianze e promossa una gigantesca inflazione, che ha generato un meccanismo cumulativo sfrenato e uno strano sistema dove i debiti non si rimborsano mai, affamando interi popoli, beh c’è da sperare che la perdano.
Con l’irrompere di nuove potenze che hanno spostato l’asse della supremazia dall’Occidente all’Oriente, possiamo ritenere chiuso il sogno americano. Ma è invece evidente che non è finito il sogno che l’Europa ha e fa dell’America. E che è quello di una servitù consolata da benessere sparso da una manina invisibile e benefica, per non dire compassionevole, termine usato inopportunamente proprio da Obama. Confortata da un pizzico di opulenza privata nella pubblica miseria e distratta dai media, che, da noi ancor più che là, hanno, in modo ossessivo e totalizzante, invaso le nostre vite e il nostro immaginario facendo dell’american way of life un modello e un pensiero unico gradito a tutti, insediandosi nell’inconscio, convincendo della bontà del suo capitalismo tutte le chiese.
È che malgrado la sua capacità di accoglienza oltre che di propagazione, malgrado la felicità in Costituzione, malgrado i suoi John Dewey, le sue nuove frontiere, le sua Hannah Arendt, i suoi poeti on the road, i suoi Allen e Marx, fratelli ovviamente, gli Usa – tocca dar ragione a Susan Sontag – hanno diffuso nel mondo una peste sperando di esserne immuni, e non sono amici della democrazia.
Sarebbe ora che l’Europa, o meglio quell’aggregazione rimasta di Occidente intorno a una moneta debole ridotta a galera, finisse di sperare nello sbarco in Normandia, nell’”arrivano i nostri”, poco consigliabile se il radicamento interno di nuovi terzi mondi ci rende simili ai nativi americani. Il duello tra candidati ha assunto la forma eroica di un torneo, di un duello medievale, offerto al tifo sportivo di chi contava sulla vittoria del paladino. Ma tocca dare ragione a Weber stavolta, chi sogna in politica è meglio che vada al cinema, il paladino non ha nessuna intenzione di fare da baluardo in difesa di un’Europa marginale, non ha interesse a una piano Marshall, è inevitabilmente dalla parte di Marchionne e di Monti, ché il mercato e il padronato, da che mondo è mondo anche prima della globalizzazione, era riuscito in quella unità che i lavoratori non hanno saputo trovare.
Con tutto il rispetto per Obama e a dispetto di Veltroni, il si può fare per la sinistra comincia con il pensare libero e non con il pensare “americano”.