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L’America Latina tra crisi economiche annunciate e nuovi modelli da interpretare

Creato il 07 gennaio 2014 da Bloglobal @bloglobal_opi

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di Francesco Trupia

L’America Latina tra crisi economiche annunciate e nuovi modelli da interpretare
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 L’esponenziale crescita dei Paesi latinoamericani, durante una delle crisi economiche più drammatiche che l’era contemporanea potesse aver conosciuto, ha lasciato spazio ad un 2013 assai negativo. Sebbene ancora da analizzare nelle sue possibili ripercussioni future, dagli ultimi trimestri dell’anno appena trascorso fuoriescono preoccupazioni soprattutto per due importanti economie del Sud America, quella venezuelana e quella argentina. Se in Venezuela gli analisti hanno evidenziato una forte stagnazione del PIL, un’inflazione pari al 54% (dato più alto dell’intera America Latina) e una difficile accessibilità ai beni primari, in Argentina le proteste popolari hanno sottolineato un malcontento sociale dovuto ad un possibile nuovo scenario di crisi che ricorda quello del 2001. Entrambi i Paesi, le cui economie sono indissolubilmente legate vicendevolmente [1], sembrano poter essere state condotti verso l’ennesimo collasso proprio da quelle scelte che negli ultimi anni, sia il bolivarismo chavista sia il “peronismo” di Cristina Fernández de Kirchner, avevano realizzato una concreta crescita politico-economica.

Gli odierni scenari venezuelani ed argentini, analizzati nello Human Development Report delle Nazioni Unite, pubblicato nel dicembre 2012, anticipavano l’odierna situazione economica dei due Paesi, indicizzati entrambi con un negativo -1. Sulla scia di Argentina e Bolivia, l’economia paraguaiana – con un indice pari ad un -2 rispetto ai dati del 2011 – diffondeva la possibilità che la decrescita potesse anticipare uno scenario “continentale” piuttosto che uno racchiuso in una determinata area statale.

HDR-America Latina

Sebbene l’America Latina rientri tra le regioni con uno ʻSviluppo Umano Altoʼ, con media regionale pari allo 0,741 [2], le Nazioni Unite hanno evidenziato che l’economia trainante del Continente, ossia quella del Brasile, ha subìto forti rallentamenti durante l’intero 2013. Per la prima volta dal primo semestre 2009, la crescita della spesa pubblica pari all’1,2%, la costante decrescita del PIL, nonché la conseguente mancanza di nuovi investimenti esteri, scoraggiati proprio dal periodo poco positivo, hanno condotto la sesta economia mondiale verso un 2014 assai incerto e ricco di insidie. Un possibile ostacolo lo rappresenteranno i campionati del mondo di calcio, su cui il Brasile ha investito molto – non solo economicamente e nella costruzioni di nuove infrastrutture – per rendere il Paese un nuovo polo d’attrazione internazionale dello sport.

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Se fosse azzardato teorizzare il possibile inizio di una crisi brasiliana, è quantomeno veritiero descrivere una preoccupante gestazione economica che, a parer dei meno pessimisti, avrebbe una spiegazione endogena dell’intero sistema sudamericano. Come affermava il politologo Moore Jr., una possibile spiegazione deriverebbe dall’importante consolidamento di nuova borghesia composta da commercianti ed industriali, consolidatasi in questi anni in Venezuela e Brasile grazie alla crescita, che autoproclamatasi portatrice di interessi puramente classisti si è opposta agli obiettivi prefissati dai governi. Il mercato dei dollari in nero paleserebbe un altro plausibile schema interpretativo della nuova crisi in Argentina. Conosciuto come fenomeno speculativo del Dólar blue o Dólar paralelo, tale fenomeno speculativo si è fortemente ramificato in importanti città del Brasile, Uruguay e Paraguay, trovando quotidianamente spazio nelle testate giornaliste che riportano la quotazione delle valute di cambio tra dollaro e pesos. Indagini congiunte delle Polizie di frontiera hanno condotto ad un’attenta analisi del fenomeno [3] e lo scorso novembre la forbice tra mercato nero e quello argentino è arrivata al 40%. Attualmente la compravendita illegale di farmaci, benzina, prodotti d’importazione ed altri beni di uso comune (prodotti cosmetici, ad esempio) continua a crescere ed attirare un turismo parallelo ed illegale.

Le indagini condotte dalle varie scienze sociali, viziate nel loro modus operandi da una visione fin troppo occidentale, testimoniano l’importanza che numerosi economisti, analisti e vari studiosi avevano riservato alla parabola ascendente dell’America Latina in questi anni. Dopo oltre cinquecento anni di contatto giuridico, politico ed economico, sia col continente europeo che con gli Stati Uniti d’America, confermare quella letteratura politologica diffusasi fra gli anni ’60 e ’70 rappresentava la chiave di lettura dell’intero fenomeno sudamericano e la conferma empirica di tali approcci scientifici. La famosa “terza ondata democratica” di Samuel P. Hungtington, annessa all’empirica Teoria della Modernizzazione esposta da Saymur M. Lipset come soluzione per i Paesi in Via di Sviluppo, sembrava confermare che processi di democratizzazione avrebbero rappresentato in America Latina il fattore facilitante per una crescita economica capace di realizzare la fuoriuscita dalle tristi soglie terzomondiste. Il connubio tra tassi di ricchezza (industrializzazione, istruzione, urbanizzazione) ed il raggiungimento di stabilità democratiche avrebbero spiegato il lineare connubio teorico.

Le situazioni di Uruguay, Paraguay e Cile, migliorate in seguito agli accordi commerciali dell’Uruguay Round, sembrerebbero confermare empiricamente tali teorie, sebbene le economie di tali Paesi non vengano annoverate tra le più importanti sullo scenario sia continentale che internazionale. I livelli di “sviluppo” economico raggiunti da Paesi democratici come il Paraguay, hanno però visto numerosi illeciti che le stesse teorie occidentali continuano ad etichettare come secondari. I danni ai terreni agricoli dovuti all’intensiva coltivazione, di proprietà anche di modesti agricoltori, se da una parte hanno reso il Paraguay uno dei maggiori produttori mondiali di cereali, dall’altra hanno sistematicamente violato diritti ambientali, collettivi, ancestrali e fondamentali di numerosi paraguaiani. [4] Molti giuristi hanno addirittura avanzato l’accusa di violazione di Diritti Umani delle popolazioni indigene a cui si è privato l’uso tradizionale delle proprie terre.

L’annuale descrizione effettuata dalle Nazioni Unite evidenzia uno scenario molto complesso, conforme alle sfide culturali e politiche che il Continente indio-latino ha consegnato al mondo fin dall’arrivo dei conquistadores. Qualora fosse veritiera la teoria secondo cui democratizzazione e crescita economica rappresentano reciprocamente fattori facilitanti in qualsiasi Paese, i dati fruibili dalla situazione latinoamericana appaino inspiegabili e privi di riscontri empirici. L’esempio più palese, paradossalmente di facile lettura, è quello riguardante la crescita costante del regime Not Free di Cuba [5], conforme al generale contesto di crescita dell’America Latina. Il Partito Comunista Cubano, sebbene violi sistematicamente libertà civili e diritti politici all’interno di un regime politico senza libere e periodiche elezioni, ha adottato negli anni riforme welfaristiche rivolte all’incremento dell’accesso all’istruzione pubblica, alla gratuità delle strutture sanitarie ed ospedaliere, al miglioramento di  quest’ultime con finanziamento di settori di ricerca, al mantenimento dei ferrei rapporti con il Venezuela per l’importazione del greggio.

Se per decenni si è creduto che un raggiungimento di certe soglie di sviluppo socio-economico potessero moltiplicare le chances di trasformazione democratica (Dahl, 1971), Cuba non rappresenta l’eccezione che conferma la regola ma, al contrario, descrive una delle tante eccezioni che in America Latina pongono molti dubbi sulla veridicità del rapporto positivo tra stabilità democratica e sviluppo economico. Nel rapporto 2009-2012, il Venezuela dell’allora Presidente Chavez – catalogato da Freedom House come Partly Free – ha riscontrato una crescita costante del proprio PIL pro-capite e dell’indice di Sviluppo Umano. Sebbene le misure adottate da Chavez rafforzavano la propria posizione personale, oggi ricoperta dal delfino Maduro, i simboli della rivoluzione chavista del Venezuela hanno sostenuto egregiamente la crescita del Paese. La promozione di politiche del microcredito riguardanti prestiti agevolati agli agricoltori, creazioni di network di distribuzione alimentare, piani di medicina preventiva e continuo sviluppo dell’estrazione ed esportazione petrolifera, sono alcuni dei pilastri su cui tutt’oggi il Venezuela fonda la sua resistenza alla decrescita analizzata nel 2013. Il Presidente Maduro ha interpretato il difficile momento teorizzando una possibile “guerra economica” mossa dai potentati mondiali dell’Occidente contro la patria della Rivoluzione bolivariana-chavista. La creazione dell’Alta Commissione per la Difesa Popolare dell’Economia del Venezuela, nata per favorire una repentina fuoriuscita dalla debacle economica dell’ultimo semestre 2013, potrebbe rilevarsi semplice propaganda governativa se la crisi evidenziasse in futuro cause strutturali ben maggiori. Come nel caso cubano, le possibilità di una svolta democratica in Venezuela sembrano infrangersi contro la vittoria dell’intero PSUV alle ultime elezioni comunali.

Anche il contesto brasiliano, sulla scia di Venezuela e Cuba, vede la propria crescita economica in un regime politico che affonda le proprie radici nell’esperienza della dittatura durante gli anni Ottanta. Grazie a politiche sociali rivolte alla creazione di una nuova e forte economia nazionale, volute prima da Henrique Cardoso e poi da Lula da Silva, il Brasile ha promosso la fuoriuscita dalla soglia di povertà di circa trenta milioni di brasiliani ed, inoltre, momenti di forte partecipazione democratica (processi bottom up) come nel bilancio partecipativo nella città di Porto Alegre. Se l’ingresso all’interno delle economie emergenti del BRICS anticipava la definitiva entrata del Brasile tra le potenze economiche del Mondo, il 70° posto nel ranking delle Nazioni Unite in merito alle ʻDifferenze di Genereʼ non rispecchia un risultato positivo per il Paese. Sebbene importanti politologi come Linz e Przeworskj avevano da tempo affermato che la presenza di diversità etniche e linguistiche non costituisce un impedimento per una completa democratizzazione, la condizione del Brasile riporta enormi disuguaglianze negli Stati federali più interni, mancanze di intervento statale nelle regioni amazzoniche, ed una forte arretratezza nei settori giuridici e di primo soccorso.

Se importanti economie nazionali come quelle del Venezuela, Brasile, Cuba ed Argentina presentano forti stasi nella personale crescita verso il Primo Mondo, altri contesti dell’America Latina offrono nuovi scenari da interpretare. I numerosi processi costituzionali di Ecuador e Bolivia, con indici economici sicuramente non paragonabili a quelli dei Paesi appena citati, vengono annoverati come i migliori esperimenti giuridici promuoventi una democrazia d’avanguardia per il terzo millennio. Sebbene i sistemi politici ecuadoriani e boliviani siano etichettati come Partly Free, quest’ultimi hanno affermato rispettivamente uno «Stato unitario, sociale, di diritto, plurinazionale, comunitario, libero, indipendente, sovrano, democratico, interculturale» nel caso dell’Ecuador, ed uno «Stato costituzionale di diritti e di giustizia sociale, democratico, sovrano, indipendente, unitario, interculturale, plurinazionale e laico» nel caso della Bolivia [6]. Tali Costituzioni sono il risultato raggiunto di dure lotte popolari che hanno condotto anche il rovesciamento di governi nazionali e la detronizzazione di Presidenti non più graditi per l’alto livello di corruzione evinto. L’elezione di Evo Morales, primo Presidente campesino di origine Aymara, rappresenta un evento mai visto in Bolivia e paragonabile per importanza storica all’elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti d’America. La situazione dell’Ecuador, che da una parte presenta la migliore Costituzione al mondo ma non in grado di realizzare una completa applicazione normativa, conferma ulteriormente l’inesistenza di correlazione tra democrazia ed economia. La mancanza di strutture pubbliche, sanitarie e scolastiche, sembrano rappresentare il vero problema strutturale ecuadoriano che, durante questi anni, è stato tra i primi Paesi al mondo per la presenza di malattie tipiche della povertà: malaria, dengue, tubercolosi, HIV/SIDA, diabete ed epatite. Nonostante siano diminuiti i tassi di mortalità infantile e minorile, non esiste in Ecuador un sistema di tutela della salute pubblica che possa arginare il fenomeno dei bambini ed adolescenti che lavorano in condizioni di totale sfruttamento all’interno di imprese agro-esportatrici, miniere, cave, bar e mense. Inoltre, il crescente numero di bambini, sia indigeni che afro, che foraggiano attività come l’accattonaggio e la prostituzione rappresentano un problema quasi irrisolvibile. La Teoria della Modernizzazione sembra lasciare spazio alla convinzione del giurista François Rigaux che, durante lo studio di numerose situazioni analoghe, ha affermato come «non tanto i forti tassi di crescita economica quanto un sostegno razionale a una lotta rivoluzionaria, nell’ambito dell’appropriazione di diritti fondamentali, che si acquistano a viva forza e con la violenza, sono fondamentali per il destino di molti Stati» [7]. Analizzando ciò che accadde in zone come Ecuador e Bolivia, non si può che dar ragione al giurista francese.

Da una veloce analisi è evidente che il modello di sviluppo neoliberista adottato ad esempio in Argentina fin dal 2001, che per molti fu il vero colpevole del collasso del Paese in quegli anni, se sostituito ad uno statalista – tipico dell’economia del Venezuela ed dell’Ecuador –  non preclude la possibilità di continua crescita nel lungo periodo, escludente momenti economicamente “critici”.

Il 2014 potrebbe rappresentare l’anno in cui quelle economie latinoamericane che hanno creduto nel non-interventismo e nel libero scambio, come Cile o Colombia, potranno subire le stesse difficoltà di quelle che non vi hanno creduto. La difficile analisi rappresenta in realtà l’ennesima sfida che l’America Latina pone ai vari settori scientifici che, a differenza di quanto fatto in passato, dovrebbero spostarsi da un’ottica WEIRD, ossia western, educated, industrialezed, rich e democratic, per delineare un nuovo modello tipicamente sudamericano, realmente in via di sviluppo, ed autonomo sovrano dalle statistiche forvianti che organizzazioni come la Federal Reserve, il FMI e la finanza internazionale, hanno elaborato in questi anni.  

* Francesco Trupia è laureando in Politica e Relazioni Internazionali (Università di Catania)

[1] Durante gli anni della ripresa economica dell’Argentina il Venezuela dell’ex Presidente Hugo Chavez acquistò tramite i propri istituti di credito gran parte del debito pubblico argentino.

[2] I vari Paesi latinoamericani rientravano agli inizi del 2013 tra lo 0,663 della Bolivia e lo 0, 808 del Cile. L’Indice di Sviluppo Umano (ISU) calcolato con un indice 0/1,  in base al  livello di salute (dato relativo all’aspettativa di vita alla nascita), il livello di istruzione (grado di alfabetizzazione raggiunto) ed il PIL pro-capite. Per una veloce comparazione è importante sapere che il Paese con l’ISU più alto è la Norvegia con 0,955, mentre l’ultimo Paese è la Repubblica Democratica del Congo (186° posto) con un indice di 0,304. I dati citati, riguardanti l’ISU, sono relativi dallo Human Development Report Office, pubblicato il 15 ottobre 2012 in HDR2013 Summary Italian, scaricabile dal sito delle Nazioni Unite.

[3] Tra Novembre e Dicembre 2013 il sistema informatico di frontiera del Paraguay è saltato per ben tre volte. Dagli accertamenti della Polizia non si riesce a capire se il problema abbia matrice dolosa o sia il semplice out order dovuto all’enorme flusso migratorio di cittadini paraguaiani verso altri Paesi.

[4] La difficoltà in merito al riconoscimento dei diritti collettivi non è solo contenutistica ma anche legata alla struttura degli stessi diritti delle collettività che presentano una caratura giuridica superiore rispetto alla soggettività dei diritti provenienti dalle tradizioni giuridiche di civil law (Europa) e quella di common law (Regno Unito, Stati Uniti d’America, in parte Australia).

[5] L’istituto statunitense Freedom House calcola con un proprio indice in settimi (1/7) il livello di libertà (Status, Press, Internet) di ogni Paese del mondo da Not Free a Free. E’ giusto ricordare che FH, come ammesso dagli stessi responsabili dell’istituto, presenta alcuni pregiudizi nei confronti di regimi politici con governo “di sinistra”.

[6] Così letteralmente nel Preambolo costituzionale della Bolivia e nell’art.1della Costituzione dell’Ecuador.

[7] F. Riagux approfondisce l’importanza della forza popolare nei processi di democratizzazione durante i numerosi dibattiti sul Tribunale Permanente dei Popoli, fondato dall’italiano Lelio Basso a Bologna il 23 giugno 1979, e la Carta di Algeri del 1962.

Photo credit: SIBCI/Kmm

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