![L'amica Francesca, fuori sede e colma di nostalgia per la sua città, mi ha chiesto di pubblicare sul mio blog questo suo post e io lo faccio ben volentieri e vi consiglio, per leggerlo come merita, di copiaincollarlo. E' un autentico gioiello!!! L'amica Francesca, fuori sede e colma di nostalgia per la sua città, mi ha chiesto di pubblicare sul mio blog questo suo post e io lo faccio ben volentieri e vi consiglio, per leggerlo come merita, di copiaincollarlo. E' un autentico gioiello!!!](http://m2.paperblog.com/i/72/722261/lamica-francesca-fuori-sede-e-colma-di-nostal-L-18NhaD.jpeg)
Non voglio dedicare una specie di guida sulle bellezze della mia città, ma parlare di alcune cose che mi piacciono e di altre che mi piacciono meno.
1. affetto e delusione
Non è facile parlare della propria città, sia essa la piccola Padova o la New York di Woody Allen. I sentimenti o risentimenti che accompagnano il nostro rapporto con essa, sonoin grandissima parte intrecciati con slanci d'affetto. Tanto che a volte ne parliamo come si fa di una parente vicina, di cui si esalta la prodigalità mentre se ne criticano gli impegni non mantenuti, le decisioni prese senza consultazione alcuna con chi di dovere: una specie di matrigna indifferente al dolore che provoca. Perché questa città, la nostra città,
è venuta meno alla tacita promessa che ci aveva fatto a suo tempo: quella di non cambiare mai. Perché ci si invaghisce di certi aspetti, ci si affeziona a luoghi, case che conosciamo da sempre e che da un giorno all'altro non ritroviamo più. Chi ricorda ancora l'albergo Storione, con le sue luci e suoi specchi? O il quartiere medievale di S. Lucia“sacrificato per far posto all'imponente ma irrisolta Piazza Insurrezione (ai miei tempi si chiamava Piazza Spalato)? Qualcun altro potrebbe ritornare dopo vari anni e voler ridare un'occhiata a quella stradina centrale che costeggia il fiume, attraversato da vari ponticelli spesso trasformati in case, tutti decorati con fiori. Avrà un bel cercare: non la troverà.
In tutta la zona il fiume è stato interrato, via i ponticelli, la strada ampia come un'autostrada per lo scorrimento veloce delle auto impazienti. Che bisogno c'era di distruggere in modo così selvaggio l'intera zona di una città cambiandone le caratteristiche e le peculiarità?
Ci sarebbe modo, io penso, di intervenire con discrezione ed attuare quei cambiamenti che si rendono indispensabile: basterebbe attenersi, nel restauro, ad uno stile che non faccia a pugni con lo stile originario, che il più delle volte viene ignorato o stravolto. E naturalmente evitare quegli interventi massicci
ed invasivi che il più delle volte si rivelano essere superflui: che bisogno c'è di trasformare un fiume in un'ampia strada in pieno centro?
Ecco, queste sono le perdite dolorose di chi non trova magari più la sua vecchia casa, magari proprio quella con i balconcini fioriti. E' questo il modo in cui ci si sente traditi.
E' vero però che Padova custodisce altre ricchezze; come pure è vero che di corsi d'acqua che scorrono silenziosi tra le case del vecchio centro, sotto bellissimi ponti non ancora rovinati, ce ne sono sempre. Pertanto smetto di lamentarmi, ovunque è così: esistono sì città conservate meglio di Padova (per esempio le città toscane) però si può trovare anche di peggio!
2. La bella Padova; mura e portici
La bellezza di una città, secondo me, (forse il discorso è banale e riguarda un po' tutte le città) più che in singoli monumenti sta nelle atmosfere, in certi scorci,nell'illusione che ti dà di rivivere il passato, nel sentirsi parte della sua storia: così ci si emoziona nel vedere angoli e spigoli della città vecchia incastonati nel
cemento che sembrano voler emergere, farsi scoprire. Padova ha visto costruire intorno a sé almeno quattro cerchia di mura, comprese quelle romane: ma le meglio conservate sono (in parte) quelle del '200 e ancor di più quelle del '500. Le mie preferite sono quelle medievali: è un periodo storico che mi affascina,
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e pare che fosse il luogo di ritrovo diquelli che oggi chiamiamo “faccendieri”: mediatori, sensali, farabutti in una parola. Ma nelle vicinanze c'era anche la gabbia pensile dove venivano tenuti prigionieri
i peggiori malfattori. Un arco lì accanto si chiama volto della corda e richiama alla mente un antico mezzo di punizione e di tortura.
Per tornare alle mura del '200, quelle medievali, purtroppo non sempre un profano le sa distinguere bene: accanto a “fette” di mura relativamente ben conservate, altre a prima vista facilmente si “fondono” con il resto della parete. Naturalmente, nei punti meglio conservati, tutto è più semplice. Si vede subito una discontinuità
nella superficie, fatta in alcuni punti da grossi pietroni .
Se la strada non è trafficata, ci si può soffermare e osservare più da vuicino.
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Quindi, nonostante lo “scippo” del fiume in pieno centro e dei ponticelli con i fiorellini, non si può dire che Padova non sappia dare delle emozioni: le piazze del centro,
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E' una delle sale più “alte”del mondo; edificata nei primi del Duecento ha subito nella sua storia qualche infortunio, come incendi e tifoni: sempre riparato alla perfezione e in brevissimo tempo. Una meraviglia dentro l'altra: da vedere gigantesco cavallo di legno, fatto costruire da qualche riccone, pare per qualche torneo o giostra. E' enorme, ed io ogni volta ne restavo incantata, anche perché una volta qualcuno, per scherzo, mi assicurò che era proprio quello della guerra di Troia! Ed io ci cascai!
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Noi abitavamo nella immediata periferia, in una casa capace di contenerci ravamo in sei in famiglia),dove i miei avevano un negozio, era a meno di un chilometro,per cui si aveva l'abitudine, la domenica pomeriggio, di fare un giro in centro “a guardare le vetrine”, e spesso vi si trovavano dei fotografi di professione che per arrotondare
facevano foto ai passanti, a famigliole o ai soli bambini: è così che me ne ritrovo parecchie: in una si vede la mamma con il suo tailleur preferito (anzi,aveva solo quello, era da poco finita la guerra), mio papà ancora con i baffi, e noi due sorelline; un po' sorridente e vezzosa mia sorella (di sei anni), più imbronciata e contrariata io (quattro). Il luogo era l'inizio di Corso del Popolo, ancora in presenza del fiume (si vede un ponte sullo sfondo). Altre volte si andava nei vicini Giardini pubblici o al bar per un gelato o una bibita. Quanto affetto e rimpianto per questo mondo! Come per chiunque non torni più.
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voluto scambiare quel luogo con tutti i Luna-park del mondo.
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5. Divagazioni e ricordi
Se ritorniamo indietro, sulla stradaprincipale, quella che abbiamo percorso finora, che, essendo intervallata da piazzette, ha altrettanti nomi: via 8 febbraio (rievoca le insurrezioni risorgimentali), via Cavour..ecc e proseguiamo sempre verso sud, alla fine si aprirà davanti ai nostri occhi una della più grandi piazze
del mondo: il Prato della valle. Ma per ora si aspetta. Perché parlare della mia città significa anche ripensare alla mia vita passata, e quindi è inevitabile che parecchi siano i luoghi che contengono pezzi della mia vita.
Eravamo rimasti più o meno in piazza Cavour, cioè in piena zona pedonale. Se vado a destra, come ho detto, ritorno alle Piazze, se invece prendo una laterale a sinistra, càpito nell'ignobile stradone che si è sostituito al fiume. E' una strada del tutto anonima, con auto, traffico, trasporto pubblico. Ma per me è importante: ci ho passato gli anni del ginnasio e del liceo: ricordi belli sì, ma anche ricordi di patemi. Attese di qualcuno che aveva promesso di passarmi a prendere e non l'ha fatto. Ricordi di passeggiate con il compianto Salvatore Samperi, di cui ero amica, a modo suo. E' curioso quanto, per chi abita in cittadine di media grandezza, è importante conoscere gente importante. E dico conoscere per dire che bastava conoscerlo di vista questo personaggio per respirare un po' di mondanità: per esempio io ero in classe con il rampollo della famiglia Montesi, probabilmente sconosciuto ai più, ma conosciutissimo in città in quanto “re dello zucchero” ma anche, ancor di più (ma non eravamo più a scuola) in quanto venne rapito da dei banditi, da cui lui, coraggiosamente, riuscì a liberarsi, lasciando a bella posta in una piega della poltrona dove era tenuto prigioniero un bottone della propria giacca, con la lungimiranza di prevedere di usarlo come prova quando si fosse riusciti a prendere i lestofanti e sbatterli in galera. E se non ricordo male, fu così che avvenne.
E l'avvocato Ghedini – mavalà? Era ancora giovane a quei tempi, io lo conoscevo di vista: ma ricordo un fatto curioso: l'intera famiglia era appassionata di cavalli, tanto che anche i componenti umani ne hanno preso le sembianze. Del resto basta osservare Nicolò anche oggi!
Non lontano dalla nostra scuola, c'era un altro luogo che è stato importante per me per qualche anno: il Teatro Ruzante. “Teatro” fa pensare ad un ampio edificio, ma non era così; si trattava di un locale scuro e sguarnito, con circa 150 sedie e un piccolo palco con uno schermo cinematografico. Come teatro era assai poco usato, vi si facevano invece delle proiezioni, organizzate da studenti universitari: si chiamava Centro Universitario Cinematografico (abbreviato C.U.C) ed “amministrato” da studenti eletti ogni anno, mi pare in
numero di 5, con diversi compiti: vendere le tessere per l'abbonamento, tenere la contabilità, organizzare cicli di proiezioni, cercare le migliori recensioni. ecc. Io ci passai circa 3 anni, all'inizio con mansioni di segretaria, per 2 ore al giorno, con una paga ridicola: ma tant'è, si sa che le cose di studenti sono sempre povere. Mi divertivo: c'era sempre qualcuno con cui chiacchierare, era un alibi per non studiare troppo, vedevo tanti film: che desiderare di più? Questo il primo anno. Poco per volta però tutti tendevano a cedere a me le loro mansioni: anche il mio orario si allungò: praticamente facevo un normale orario d'ufficio per qualche lira. Però questa dilatazione dell'orario e degli impegni mi piaceva: avevo le mie soddisfazioni per la scelta delle recensioni, qualcuna la facevo direttamente io, quando si trattava per esempio di un film che avevo già visto. E insomma, mi prendevo gli elogi per essere capace di tener su la baracca da sola, in un mestiere che non era il mio e di cui, all'inizio, sapevo ben poco. Per completare, ero io che registravo e ritrasmettevo in teatro alcuni annunci inerenti al programma: “Per cortesia, un momento d'attenzione, si comunica che...” E mi divertivo quando, senza conoscermi, qualcuno dimostrava di gradire i miei modi e mi faceva dei complimenti: “ma chi è questa ragazza che parla? che bella voce!” Bontà sua!Insomma, divenni come si dice popolare.
Ad un certo punto - mi pare al mio terzo anno di “factotum”- a qualcuno venne in mente di spedirmi a Roma a cercare alcuni film introvabili per organizzare una Rassegna di un certo regista semi-sconosciuto (com'è d'obbligo per un cineforum) visto che come si sa si combina più facilmente un affare recandosi sul posto di persona. Perciò il Direttore, che era Giorgio Tinazzi, già allora critico ben noto nell'ambiente, mi diede un indirizzo di una signora bolognese che affittava stanze, più alcuni suggerimenti e consigli a me che, così giovane (vent'anni) avevo la prospettiva di restare per una settimana sola come un cane nella metropoli tentacolare... In realtà, a parte che avevo il mio daffare nel girare (in taxi, ovviamente spesata) per Consolati ed Ambasciate – sezione culturale per richiedere delle copie dei film in questione, non avevo paura di trovarmi sola in una città che non conoscevo; piuttosto mi sentivo a disagio quando, per esempio, mi trovavo al ristorante senza nessuno con cui parlare. Mi dovevo dare un contegno, insomma. Ma già la seconda volta ero corsa ai ripari: mi ero comprata un quotidiano che ripiegai per maggior comodità e mi misi a leggere subito, con quanta attenzione non ricordo.
Ed anche il C.U.C. ebbe fine. Come spesso succede - di aver la sensazione che, andandocene noi da un posto, ne favoriamo la distruzione - lo smembramento del Centro, almeno nella forma in cui lo conoscevo io, ebbe luogo in concomitanza con il mio ritiro, dovuto ad ovvie ragioni: dovevo studiare e laurearmi, avevo incontrato un ragazzo che poi divenne mio marito, e non ultimo, se n'erano andati alcuni membri del direttivo a cui ero affezionata. Non era più tempo per certe cose: era perfino cambiata la sede. Non ci misi più piede
e non me ne interessai più.
6. Continua la passeggiata: Il Prato
Ma torniamo al nostro percorso, sempre a piedi. Ci stiamo avvicinando alla fine.Ci rimane de vedere quello che da molti è considerato “il più bel posto di Padova”. Ma io ho qualche riserva. Prendiamo, dopo aver lasciato la Riviera dei fiorellini, una sua parallela, via Umberto, strada elegante e piacevole, piena di negozi di ogni tipo, ma soprattutto di gioiellerie e arredi prestigiosi. La prendiamo per recarci nell'ultimo chiamiamolo Monumento del nostro piccolo giro: il famoso Prato della Valle. E' la più grande piazza d'Italia e tra le prime al mondo: ma non sempre la grandezza si sposa con la bellezza, e a me infatti sembra che tanto spazio sia piuttosto sprecato: non c'è un'idea unificante, è “grando par gninte” inutilmente grande, cioè la sua immensità non porta a molto di suggestivo. E va bene che la sistemazione odierna (è un unico, immenso parcheggio) è a dir poco criminale: ma questa è stata solo la mazzata finale. Si tratta di una enorme distesa (quasi 100mq) più o meno ellittica di terreno; al centro della piazza una “Isola” detta Isola Memmia dal nome di chi nel '700 la fece bonificare e restaurare. L'isola è circondata da una “canaletta” e circondata da una doppia fila di statue (in tutto un'ottantina). Il terreno era un tempo fortemente paludoso e quindi malsano e portatore di malattie. La si fece bonificare a tempo di record.Questa descrizione sembra dar ragione al mio scarso apprezzamento per il Prato, ma devo ammettere che non gli rende merito. Mi sono accorta, sfogliando foto per questo scritto, che anche il Prato ha i suoi angoli spettacolari. E che, se la sua “grandezza” la trasformiamo in “grandiosità” siamo più vicini alla realtà. Si provi per esempio, a percorrere Via Luca Belludi (la strada che dalla Basilica del Santo porta al Prà) e ci si metta nell'atteggiamento di chi deve aspettarsi di vedere una cosa bella: ancora pochi passi e poi: ohhh! Si intravvede una statua e sullo sfondo degli alberi: se ci si va di domenica poi, non ci sono nemmeno le auto posteggiate.
Una volta bonificata la piazza (in 44 giorni!) la si poteva usare in vario modo, e così fu: vi si facevano degli spettacoli teatrali, corsa con le bighe, mercati vari, che mi sembra l'utilizzazione più adatta. Ancor oggi, nei pochissimi spazi lasciati liberi dalla modalità posteggio, viene utilizzata - ma solo il sabato e la domenica - come enorme mercato di piante e fiori, di vari capi di abbigliamento e, periodicamente di oggetti di antiquariato. Ma se io ne fossi la proprietaria, lascerei naturalmente l'isola, ma inonderei il resto della piazza di alberi, piante e fiori: un parco pubblico. C'è così poco verde in questa città! Ed è in grandissima parte privato, appartenente alle splendide ville del centro cioè nascosto agli estranei, tutto racchiuso dentro quegli enormi portoni che raramente si aprono per poi immediatamente richiudersi. E pensare che Goethe aveva descritto Padova così alla fine del '700:“Alberi sopra alberi, cespugli sopra cespugli, case bianche a non finire che occhieggiano tra il verde” ; sembra che stia parlando di una cittadina della campagna inglese!
La Specola
Magari uno che conosce Padova nota a questo punto che manca (non l'ho mai nominato) un monumento, una costruzione tra le più belle e meglio inserita nell'ambiente di tutta la città: parlo della Specola, l'antico osservatorio astronomico. Ma soprattutto vi si praticavano torture e altre crudeltà nei confronti dei prigionieri ai tempi del famoso-famigerato tiranno Ezzelino da Romano (XIII sec). Sarebbe interessante, mi pare, raccogliere dei dati e documenti sul rapporto reato/pena (già sappiamo della prigione per debiti) in base al quale venivano comminate le pene al povero malfattore.
Se voglio attenermi a quanto detto nelle prime righe dell'introduzione, mi dovrei fermare qua. Molte cose mancano, questo è ovvio, ma era mia intenzione proprio parlare di una piccola Padova personale. E così ci sono i giardini pubblici (di nessun valore), dove mi portavano da piccola, ma non c'è o quasi l'Università, né l'Orto Botanico, e nemmeno la Basilica del Santo; sono così famosi che se ne possono facilmente trovare informazioni ovunque. Più difficile trovare notizie sul volto della corda.Comunque, possiamo dire qualche parola sui siti che abbiamo volutamente lasciato da parte: 1)l'Università del 1222, fondata da studenti che volevano più libertà negli studi; il Teatro anatomico è una testimonianza delle ricerche (proibite) sui cadaveri. Vi insegnò, per fare un solo nome, Galileo Galilei nel '600. Ancora oggi la sede centrale si chiama “el Bò” perché anticamente era una locanda e una testa di bue ne era l'insegna
2) Interessante anche l'antico ghetto ebraico, ora ampiamente restaurato, mantenendo però il suo caratteristico aspetto: una serie di stradine strette e case fittamente accostate le une alle altre, secondo lo stile che si può trovare in altri siti simili in altre città italiane ed europee.
3)via Savonarola e dintorni, quartiere già chiamato Borgese, un'altro angolo pieno di viuzze e portici
4) la basilica di sant'Antonio (il Santo) super raccontata, super osannata; non intendo parlarne, se non per dire dell'enorme quantità di fedeli che vi si reca intorno al 13 giugno, la “festa del Santo”.
5) un'infinità di luoghi verdi, belle strade per lo più non conosciute: chi è passato una volta per via delle Palme?
6) Per ultimo, le belle chiese di Padova: la gigantesca Santa Giustina, le due più piccole ma deliziose S. Nicolò e S. Sofia, la più antica della città.
Il Prato La Specola
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Mi sono chiesta fin dall'inizio a chi poteva interessare questo scritto; e me lo chiedo ancora. Sono riuscita a non lasciarmi condizionare dall'incombente insuccesso, pensando: lo scrivo per me. Chi altri vorrà leggerlo?
Forse un ex-padovano, ancora legato alla sua città. O forse qualcuno che ci deve venire (e speriamo che non si aspetti una guida). In ogni caso, lo legga uno solo o magari due, a loro va la mia più sentita riconoscenza, centuplicata se vorranno aggiungere un commento.