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“L’Amore ai tempi della Chat”

Da Federbernardini53 @FedeBernardini

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Frequentava da un po’ quella stanza di chat, la “Stanza delle chiacchiere libere”; lo aveva attratto il nome e poi ne era diventato frequentatore abituale, prima per coprire le pause-pranzo di un lavoro monotono e appiattente, poi per la serena leggerezza delle chiacchiere che si intrecciavano.

Ormai si conoscevano tutti gli habitué, i nick avevano acquistato una fisionomia nota, da cui traspirava la personalità di ciascuno.

Per sé aveva scelto un nome audace, “Fuoco”; si sentiva spesso come un “fuoco” quando a stento reprimeva la valanga di sensazioni che bruciavano dentro senza divampare.

Un giorno, un nick lo aveva colpito subito: “Acqua”, lieve da pronunciare e pure così duro, un suono breve e deciso, tagliente come un’onda repentina …

Ebbe subito una sensazione di pacata energia, forse una fragilità a stento nascosta….

Si trovarono a “parlare” nella stanza affollata di nick e frasi vaganti, ma si “sentivano”, esistevano solo le loro frasi.

Si ritrovarono in “privato” senza accorgersene… fu come un abbraccio spontaneo…

E da lì un fiume, sentì la piena di un’anima che aveva solo voglia di riversarsi nel giusto contenitore, leggeva lo scorrere delle frasi come ipnotizzato, la “sentiva” vibrare nelle parole…  nelle pause… nei lunghi eloquenti silenzi …

Si ritrovano il giorno dopo, tacito appuntamento… e poi ancora l’indomani… ormai sapeva molto di lei, senza bisogno di chiedere.

Immaginava la sua figura minuta, quasi acerba e adolescenziale, descrizioni vaghe quasi per un pudore istintivo, ma tutto era chiaro, la realtà non poteva dare di più.

Ormai si “incontravano” tutti i giorni, lui nelle pause dal lavoro, lei a casa, sola e demotivata dopo poche faccende domestiche.

Gli aveva detto di essere “sui 40”, quasi coetanei, lui ne aveva 46, ma mai nulla di ben preciso; istintivamente non avevano bisogno di realtà per “sentirsi”, né bisogno di foto o  voce al telefono… tacquero anche il nome della città da cui digitavano, entrambi toscani, questo solo sapevano l’una dell’altro, entrambi sposati in una esistenza piatta e abitudinaria, non avevano figli, e l’assenza di emozioni vere era un dato di fatto senza costituire neanche più un problema da risolvere.

Ma non dicevano di se stessi nulla di più, bastava loro il leggere l’anima l’uno dell’altra, attraverso sfiorate confidenze sempre più accorate, ma nulla di più oltre a vaghi accenni alla fisicità più intuita che raccontata.

Sapeva solo del suo profumo preferito, il sandalo …

Ormai il ritrovarsi quotidiano era un punto fermo della giornata, si sentivano anche la sera, lui si attardava in ufficio, felice di rimandare il rientro a casa da una moglie compagna solo di nome che l’abitudine aveva ridotto a soprammobile; lei riempiva le lunghe sere solitarie in attesa della farsa della cena con un marito sempre più assente.

La valanga delle emozioni era grande, le fredde frasi scritte sul monitor si vestivano di colori e odori, “parlavano” sommessi e presi per mano, si raccontavano nelle loro anime nude, non esistevano pudori o reticenze, ormai le sensazioni erano fisiche nella adrenalina che scorreva nella serie di bits …

Nel salutarsi per la “Buona notte” si abbracciavano forte, lui stringeva quel corpo minuto e morbido e sentiva l’odore della sua pelle, lei si beava di quella stretta e si abbandonava alle mani di lui, calde e decise; momenti magici, veri e tangibili, la realtà era presente…

Decisero di incontrarsi; più che una decisione fu un impeto istintivo che premeva urgente, con frasi mozze e vaghe stabilirono solo il giorno e l’albergo in un paese vicino ad entrambi; non volevano “conoscersi, vedersi”, non occorreva, volevano solo continuare a “chattare” e sentire il calore della pelle.

La mattina del venerdì, durante la rapida colazione, sollevando appena il viso tra le tazze semivuote verso il viso amorfo della moglie, disse con aria noncurante:

“ … Stasera farò molto tardi, cena di lavoro …”, e si alzò da tavola imbarazzato, la voce tremava appena, non era abituato a mentire.

“Anche io esco….”  la sottile voce della moglie era quasi un sussurro “vado a trovare la mia amica Lisa  …”

Guidava piano e assorto, ancora pochi chilometri e la avrebbe “sentita”, pronunciava sottovoce il suo nick, “Acqua”, non ne conosceva neanche il nome …

Avevano deciso che sarebbe stata una esperienza unica, non ripetibile, un volo nel buio per poi vivere di quello; non la voce, non la sembianza interessava, solo il calore delle mani e della pelle, l’avrebbe abbracciata forte e vissuto il suo profumo, niente altro importava  …

La porta della camera 206 si socchiuse al suo tocco cadenzato… toc toc… la penombra avvolgeva tutto come un velo spesso, ma “lei” era lì, a un passo, la sua “Acqua”, eterea e fluttuante come nelle conversazioni serali in chat, bastava allungare la mano e toccare il profumo di sandalo …

Se la ritrovò tra le braccia come una creatura “sua” da sempre, la strinse forsennato e avido, sentiva il corpo di lei sciogliersi attraverso le vesti e aderire al suo in una appartenenza ancestrale, la mente era vuota, non pensieri, non frasi, no nulla, niente di niente, solo quel corpo morbido che lo invadeva come acqua su tizzoni infuocati; gli sembrava di conoscere da sempre quei lunghi capelli, il seno sodo sotto la camicetta, la stretta delle braccia attorno al collo; la spinse contro il muro quasi a volerla imprigionare, gli sembrava di conoscere tutto di lei, ma non conosceva la sua ansia mal celata e poi la sua sete, la morbidezza della sua bocca audace, il calore della sua pelle, il brivido al gesto di lei che si inginocchiava ai suoi piedi, la spontaneità dei baci, il darsi di lei senza riserve, docile e completa… la nube delle vesti per terra … il fresco delle lenzuola … e affondare in quella “Acqua” calda … gli sembrava di non aver mai penetrato una donna … era una pienezza che andava oltre la fisicità …

Il tempo si era fermato; quante ore? o forse solo minuti? Stettero assieme una eternità, attimo fuggente nella notte fatta solo di profumi e sapori.

Si svegliò; forse aveva dormito, e sentiva, lo viveva senza vederlo, il corpo di lei abbandonato ora tra le lenzuola sgualcite, in un sommesso respiro sereno e pacato.

Doveva andar via, questi erano gli accordi.

Difficile vincere la tentazione di accendere un lume, un solo sguardo, ma no, non poteva, così avevano deciso e così doveva essere.

Si vestì in silenzio, sfiorò con le labbra la nube di capelli di lei sparsi sul guanciale ed uscì senza indugio, un altro minuto di sosta sarebbe equivalso a essere vinto dalla tentazione di vedere gli occhi di lei socchiusi.

Vagò a lungo sulle strade deserte della notte fonda, non aveva voglia di tornare a casa, forse non aveva casa … non aveva mai vissuto, forse la sua esistenza piatta era solo un incubo, e la sua “casa” era lì, in quella camera magica 206 avvolta dal profumo di sandalo.

Rincasò come un automa che era ormai mattina; lo accolse l’odore del caffè appena fatto, la moglie sedeva al tavolo ancora in vestaglia e i lunghi capelli in disordine davanti alla tazzina fumante, aveva un’aria serena e distesa, un po’ trasognata e persa nel vuoto, ma quasi felice; si, le aveva fatto bene passare una serata con l’amica del cuore…

La salutò distratto, una vaga finta di bacio sulla guancia e un assente “ … come va?…”

La sensazione lo investì come un uragano.

Ebbe un pauroso capogiro, si riprese a stento con una sensazione di vuoto attorno.

I sensi eccitati al massimo, risentiva ancora il profumo di sandalo che lo avvolgeva…

Oddio, non si sarebbe mai liberato della sua “Acqua”, la “sentiva” ovunque, ne percepiva la presenza al suo fianco, una presenza quasi fisica, la percepiva nell’odore ancora presente sulla sua pelle, in quell’aleggiare di misteriosa presenza che, lo sapeva, avrebbe avuto sempre accanto.

La vertigine non cessava, si sedette alla tavola e portò la tazzina alla bocca.

Incrociò un attimo gli occhi della moglie e distolse i suoi, ebbe paura …

Lis 

Illustrazione: René Magritte – Gli amanti – 1928

Un racconto che si dipana su piani diversi, che a volte si intersecano e si sovrappongono.

Quello della “cronaca” che ci rimanda alle tante storie similari che vivono e muoiono quotidianamente in quel mondo virtuale che sempre più va assumendo i caratteri di luogo deputato dell’amore ai tempi della chat e quello di una poesia vestita di ambiguità e di mistero.

Soprattutto un racconto d’atmosfera, dove realtà, immaginazione e interiorità si fondono in un impasto dal sapore dolce amaro di cui alla fine ci rimane un retrogusto ambiguo e indecifrabile.

Un racconto fatto di solitudine, di insoddisfazione, di evasione, di desiderio al confine con la follia, di incapacità di comunicare e di cercare nella concretezza della vita quotidiana ciò che a volte abbiamo a portata di mano eppure, per stanca abitudine, non curiamo e nemmeno vediamo.

…Non sapremo mai se quell’odore di sandalo sia solo un’evocazione dei sensi ancora eccitati oppure…  

Federico Bernardini

 



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Da Alberto Nacci
Inviato il 07 febbraio a 18:16

Sono frastornato. Un racconto scritto in modo esemplare che non si divora solo con gli occhi, perche abbraccia in una catena di emozioni che continuano ancora dopo la fine. Poche volte m'e capitato di leggere qualcosa che vorresti non finisse mai e sono rimasto solo con la mia esclamazione banale. Ancora...Lis, ancora!