uando ero una ragazzina, i ragazzi e le ragazze invece dell’happy-hour… andavano avanti e indietro per via Montenapoleone, facevano una “vasca”, si diceva così. Ogni paese e città aveva la sua “vasca”: a Bergamo c’era il Sentierone, in altre città i portici o il sagrato della chiesa, la domenica mattina. Tutti questi andirivieni avevano lo scopo di “farsi vedere” e di “guardare”.
ragazzi, fermi in piccoli gruppi, guardavano le ragazze che andavano avanti e indietro ridendo tra loro, imbarazzate da quegli sguardi. Erano sguardi “fisici”, che si sentivano sulla pelle, si infilavano veloci tra le pieghe della gonna o della camicetta, se puntavano le gambe, sembrava di essere solo gambe, se ti squadravano, li sentivi giudicanti scivolarti addosso.
arole: pochissime, superficiali, di convenienza, la comunicazione era soprattutto “fisica”, passava attraverso il corpo, era fatta di sguardi, sfioramenti, rossori, risatine, esibizioni. Le emozioni non avevano parole, mute, restavano intrappolate dentro il corpo, niente era dichiarato o svelato con la parola.
ggi invece si clicca, si chatta, ci si incontra nella piazza virtuale, insomma soprattutto si parla, con chi non si sa bene, perché poi incontrarsi è davvero complicato, però si comunica! Non c’è emozione, impressione, desiderio, moto dell’anima che non possa essere analizzato, sezionato, smascherato, dichiarato, “chattato”, spedito via-email.
eduti davanti al computer, a qualunque ora del giorno o della notte, completamente soli, senza vedere o scambiare due parole con nessuno, possiamo comunicare ininterrottamente col mondo intero. Un universo di parole “disincarnate”, completamente avulse, separate, staccate, dai soggetti che le scrivono e le leggono, scomparsa anche la voce, ultimo baluardo dotato di una qualche fisicità legata alla persona in carne e ossa, resta solo il grande dio-comunicazione.
ivinità senza contenuti, perché irrilevanti: chi si venera è l’informazione e non importa quale, chi si adora è la comunicazione e non importa con chi; i suoi sacerdoti sono i grandi “comunicatori”, i nuovi eroi del nostro tempo, che anche se non dicono niente, sono bravissimi, perché lo dicono bene.