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L’ amore bugiardo e malato di un Fincher chirurgico

Creato il 21 dicembre 2014 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

Con L’ amore bugiardo David Fincher imprigiona lo spettatore in un thriller chirurgico, millimetrico, dove niente è lasciato al caso. E ci imbriglia così bene da proibirci di dire “no, non mi hai convinto!”.

amore-bugiardoDavid Fincher è sempre stato affascinato dalla psiche umana e dalla componente filmica più psicotica e cervellotica. La mente malata e precisa di un serial killer (Seven, Zodiac), il visionario cerebralismo di storie dal gusto fantastico (il bellissimo Il curioso caso di Benjamin Button), thriller in interni o social thriller (Panic Room, The Social Network). Ci ha sempre condotto dentro qualcosa, chiudendo a chiave lo spettatore in una gabbia nella quale è volontariamente entrato una volta fatto il biglietto.

Fincher è un regista lucido, certosino, capace di lavorare con somma attenzione su quella dialettica vedo-non-vedo che dovrebbe essere innata in ogni buon thriller. Con L’ amore bugiardo Fincher è tutto questo e qualcosa di più, ovvero cosciente di prendere in mano un plot non proprio nuovo né originale: lei, la stronza di turno, fa credere al mondo che il marito l’ha ammazzata, lo incastra senza scampo e poi scompare nel nulla (o almeno ci prova). Insomma, una banalità. Fincher, però, ne è così cosciente da mettere perfettamente a fuoco l’unico modo per cavarne le gambe e non farci sbuffare: muovere tutte le pedine con chirurgica precisione. L’ amore bugiardo risulta quindi un film millimetrico, dove tutto, anche l’emersione di dettagli più che prevedibili, è studiato, poi ribaltato, poi innalzato fino all’inquietudine della sequenza finale.

Detto questo, L’ amore bugiardo è sì un bel film, ma di quelle opere per le quali l’aggettivo “bello” viene di diritto prima del personale giudizio di valore “non mi è del tutto piaciuto”. È una guerra impari poiché, onestamente, dobbiamo dare a Fincher quello che è di Fincher, ovvero un convinto applauso alla maestria con cui sa dosare e gestire il materiale che ha per le mani. In primis, come già detto, una storia non così originale. Proseguendo, amministra la macchina da presa con parsimonia, senza prodigarsi in virtuosismi inutili, concentrando il massimo dell’estro in una brevissima sequenza, dove un montaggio serratissimo e un fiume di sangue, sono il lasciapassare verso la storia del cinema. Se L’ amore bugiardo non è un film indimenticabile, lo sgozzamento dell’ex di lei è una scena di prepotente e sanguinosa imponenza.

Fincher gestisce poi con oculatezza i tempi del racconto, stirando la prima parte del film fino a sfiorare la noia, compiendo qualche salto avanti e indietro nel tempo (pur con l’ausilio di titoli esplicativi), concludendo nel finale con un’accelerazione degli eventi così repentina da “stordire” lo spettatore e spaventarlo sul concetto dello stare insieme ad libitum.

Fincher gestisce poi ottimamente i suoi attori, Ben Affleck e Rosamund Pike. Lui, il bello d’America, vincitore di un meritato Oscar con Argo, ci sta a fare la parte del doddo con un indomabile sorriso da ebete. Quel sorrisetto da schiaffi dell’Affleck uomo, attore e latin lover è piegato ad un personaggio che su quello smile ci campa egregiamente per oltre 2 ore di film.

Lei è glaciale e spietata in un personaggio dominato da una follia lucidissima e un’invidiabile capacità mentale di ridistribuire ogni pedina in gioco. Dopo tanti film in cui non si era mai fatta notare con decisione, con L’ amore bugiardo la Pike fa un enorme salto di qualità (e notorietà).

Insomma, tenuti di conto tutti questi elementi, è evidente come la “gabbia” matrimoniale in cui nel finale Amy ri(n)chiude Nick sia la stessa in cui Fincher imprigiona noi spettatori, sbarrandoci la possibilità di dire “non mi hai convinto!”, poiché inevitabilmente non possiamo far altro che inchinarci di fronte a cotanto manicale autore. Perché di questo, volente o nolente, piacente o meno, stiamo parlando quando parliamo di David Fincher.

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