“Ora che non sono più due occhi di carne a vedere la leggiadria del principe è puro soprammercato,
è la gioia della sovrabbondanza, promessa a chi ricercò per primo il regno dei cieli”
Cristina Campo
A partire da Sovrane di Annarosa Buttarelli
Tamara De Lempicka, Portrait de Ira (1923)
Che il capitalismo sia un’ideologia fallimentare nella regolamentazione dei rapporti economico-sociali è cosa di cui molti si stanno accorgendo. Esso presuppone una crescita infinita, risorse illimitate e consumi in costante aumento. E’ evidente come ciò non sia sostenibile se non per un arco di tempo limitato. Si rende quindi sempre più urgente comprendere quale sia la via per portarci oltre il capitalismo, prima che sia troppo tardi. Le risposte date finora agiscono partendo da assunti derivati dall’opposizione alle logiche che governano l’ideologia capitalista. Se essa presuppone la crescita, si propone, di contro, la logica della decrescita. Se il capitalismo mira a produrre anche l’inutile, ci si focalizza invece sulla limitazione a ciò che è utile. Se il capitalismo agisce nel mercato, la soluzione sarà decostruire il mercato. Sembra quindi che non riusciamo ad uscire davvero dal ‘pensiero’ capitalista, ne rimaniamo in qualche modo invischiati seppure ponendoci come ‘antagonisti’. E’ davvero da qui che è possibile produrre un’inversione di rotta? Il pensiero oppositivo è davvero creativo?
Nel libro di Annarosa Buttarelli (di cui abbiamo parlato anche qui e qui), la fine del capitalismo è pensata e creata muovendo da tutt’altra prospettiva.
Per poter produrre un’alternativa al capitalismo è importante coglierne i presupposti, comprendere dove esso tragga la propria forza, la spinta a perpetrarsi. Il capitalismo è un’ideologia che agisce all’interno dell’ambito economico determinandone lo sviluppo e il senso. Ma cos’è l’economia? L’economia è un modo di governo, un modo cioè dell’ordine che ha per oggetto specifico l‘oikos. Questo modo dell’ordine può variare a seconda del pensiero che lo guida che può essere capitalismo ma anche altro. Presa di per se stessa, l’economia non racchiude il germe del capitalismo. Esso non è un suo destino inevitabile. L’economia non è indissolubilmente legata al capitalismo. Il capitalismo più che dall’oikos, più che dall’economia, trae la sua forza e il suo fine dall’ambito teologico. Almeno così sostiene Elettra Stimilli, secondo la quale il capitalismo nasce quando lo sviluppo economico si inscrive all’interno del paradigma teologico dell’illimitatezza che deriva dalla constatazione dell’ inestinguibilità del debito verso dio. Il tentativo di compensazione del debito diventa un tentativo infinito, atto compulsivo fine a se stesso.
Il paradigma dell’illimitato, dell’inestinguibile cosa comporta nell’ambito economico? Esso porta con sè una spinta compulsiva al consumo, tentativo fallimentare di compensare ciò che non è compensabile. Il consumo compulsivo, motore del capitalismo, ha delle caratteristiche specifiche, una che ha a che fare con il fine, l’altra con l’oggetto. In primo luogo, tale consumo non porta mai alla soddisfazione dei bisogni, quanto piuttosto alla reiterazione dell’ ‘insoddisfabilità’. In secondo luogo, al consumo compulsivo si accompagna una produzione focalizzata sulla quantità e non sulla qualità. Se consumo per consumare poco importa cosa consumo, la qualità dell’oggetto. Da qui lo scadere della qualità dei beni a vantaggio della produzione di beni che durano poco, che si consumano in fretta. Se il senso non è la soddisfazione di un bisogno ma il consumo in sé, meno dura un prodotto meglio è.
Per mettere in crisi questa (teo)logica, occorre spostare il focus dalla quantità alla qualità. Il problema non è la produzione in sé, ma cosa si produce e perché. Il focus sulla qualità permette non solo di porre un freno alla compulsività del consumo capitalistico ma anche di mettere in crisi l’utilitarismo che lo governa. Se infatti il consumo è compulsivo, la produzione è utilitaristica. Si consuma compulsivamente ciò che viene reputato utile e funzionale.
La produzione capitalistica si sviluppa sulla dicotomia utile-inutile, ovvero a partire da una logica meramente funzionale che si gioca tutta su una falsa idea di efficienza. Ciò che viene prodotto, con scarsa qualità e in grande quantità, è ciò che viene reputato ‘utile’.
Alla dicotomia utile-inutile, è necessario opporre, seguendo Buttarelli, quella dicotomia che muovendosi tra essenziale e superfluo pone il suo fulcro sul paradigma della ‘qualità’. E’ a partire da qui che il capitalismo può essere superato. Il superfluo, il lussuoso rappresenta una “deviazione della norma, uno scarto, uno spostamento; è il nome di tutto ciò che esce dalla sua solita collocazione funzionale, un’eccedenza, un non-utile” (A. Buttarelli, Sovrane, p. 139). Lo spostamento prodotto dal superfluo mina alla base la spinta compulsiva al ‘consumo utile’ perché rappresenta una rottura della logica che lo sostiene. Nell’amore per il superfluo, amore secondo l’autrice tipicamente femminile, si genera una nuova economia, l’economia di soprammercato, un’economia profondamente anticapitalista: alla quantità preferisce la qualità, all’utilità, l’idea di un superfluo che si avvicina di più alla vita, ai suoi bisogni, alla sua bellezza.