Magazine Psicologia
In qualunque società ci sono elementi comuni e contrastanti che caratterizzano la terza età, ossia la consapevolezza della necessità di prendersi cura dell’anziano e di rispettarlo e nello stesso tempo l’evidente marginalizzazione e il rifiuto nei suoi confronti. Convivono forme di esaltazione e di attribuzione di saggezza con altre di detrazione e di mancata considerazione.L’anziano spesso si trova comunque a confermare e a rafforzare l’immagine negativa prevalente che gli è stata attribuita dalla società.Tutto ciò provoca nell’anziano delle reazioni che possono sfociare in vere e proprie crisi esistenziali.Invecchiare bene presuppone invece la comprensione e l’accettazione dei cambiamenti che si verificano in tale fase della vita, decidendo di partecipare attivamente a tali mutamenti, anziché subirli.
Da un punto di vista sociale l’invecchiamento è definito in maniera diversa in società e in periodi differenti. Le società antiche e tribali considerano l’anziano depositario di saggezza e tradizioni, considerazione decisamente differente dalla nostra società centrata sulla produttività e sul valore della giovinezza.L’anziano allora può sentirsi frustrato perché non riesce ad attivarsi secondo le potenzialità che ancora possiede né a raggiungere gli obiettivi desiderati. Talvolta vive l’inattività a cui è costretto come una perdita di tempo prezioso e questo porta alla nascita di paure a volte ingiustificate, prima fra tutte quella di essere inutile.Si sviluppa in tal modo una forma di disadattamento senile, soprattutto se sopraggiungono patologie che portano a perdita dell’autostima e dipendenza sempre più dagli altri; perdita di ruolo e rischio di senso di inutilità; disorientamento.Le possibilità di giungere ad un invecchiamento sereno, come coronamento, completamento ed esplicitazione di tutto il corso della vita, sono strettamente legate alla modalità con cui si instaura la relazione tra anziani, famiglie e servizi.
L'immagine di Enea che porta il padre Anchise sulle spalle è meravigliosa a patto che sia un atto d'amore! Quando il "dovere"si sostituisce al sentimento di bene dobbiamo chiederci: per chi lo sto facendo?È per azzittire il nostro senso di colpa?
Il rischio è forte. Siamo così abituati alle convenzioni che spesso rimaniamo invischiati in sentimenti contrastanti. E così finisce che una commissione, un atto di aiuto diventi una prigione. La vita diventa pesante e spesso capita di reagire in malo modo dicendo cose che non avremmo voluto dire.
Ma è questo che vogliamo?Accompagnare il genitore nella sofferenza non è certo semplice. Molto spesso non ne abbiamo proprio gli strumenti. Altre volte non ci arrendiamo all'inevitabile distacco.
Allora diventa importante riconoscere i propri limiti accettandoli senza giudizio e organizzando la vita quotidiana chiedendo aiuto affinché tutta la rete relazionale sia coinvolta, per quanto possibile!
E dove non ci sono reti parentali disponibili?L'aiuto può essere dato in diversi modi, anche attraverso le mani di persone che lo fanno per mestiere. È chiaro che questo ha un costo da mettere in conto.
Ma quanto costa la serenità e la tranquillità?Pensiamoci!
Siamo meritevoli d'amore al di là di quanto ci adoperiamo a resettare in casa o quanto ci diamo da fare per fare la spesa, perché qualsiasi nostra azione non sarà mai abbastanza per colmare il vuoto esistenziale di una vita che sa di finire.
Penso che la cosa importante sia ancora una volta la qualità della relazione e l'affetto che riusciamo a donare. Ricordiamoci che un atto d'amore è incondizionato e che una carezza fatta con autentico trasporto è più rincuorante che un servizio fatto con il cattivo umore. Considerare altre modalità e alternative significa preservare il nostro legame affettivo, il benessere dei nostri cari e la stima per noi stessi. Si può amare al di là del dovere morale ma questo dipende da noi!
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