Questa sera la (solita, benemerita) 7 trasmette in prima serata il film L’amore e basta, che parla di coppie omosessuali, di felicità e diritti, cercando in questo modo di portare un poco di buon senso nell’asfittico, banale – sempre di retroguardia – dibattito della politica italiana. La ‘povna lo sta guardando, proprio adesso, e coglie l’occasione per segnalarlo a tutti.
E, contro l’ipocrisia generalizzata che, su questa tema, impera ahimé da sempre, ne approfitta anche per pubblicare (ripreso da Cronache laiche) questo articolo di Franco Buffoni.
Perché sono favorevole al matrimonio tra cattolici
Un utile esercizio che consiste nell’invertire censori e censurati, maggioranze e minoranze, discriminanti e discriminati. Non si sa mai.
Sono completamente favorevole al matrimonio tra cattolici. Mi pare un errore e un’ingiustizia cercare di impedirlo. Il cattolicesimo non è una malattia.
I cattolici, nonostante a molti non piacciano o possano sembrare strani, sono persone normali e devono godere degli stessi diritti della maggioranza, come se fossero, ad esempio, informatici od omosessuali.
Siamo coscienti che molti comportamenti e aspetti del carattere delle persone cattoliche, come la loro abitudine a demonizzare il sesso, possono sembrarci strani. Sappiamo che a volte potrebbero emergere questioni di sanità pubblica, a causa del loro pericoloso e deliberato rifiuto all’uso dei profilattici. Sappiamo anche che molti dei loro costumi, come l’esibizione pubblica di immagini di torturati, possono dare fastidio a tanti. Però tutto ciò risponde più a un’immagine mediatica che alla realtà e non è un buon motivo per impedire loro il diritto al matrimonio.
Alcuni potrebbero argomentare che un matrimonio tra cattolici non è un vero matrimonio, perché per loro si tratta di un rito e di un precetto religioso assunto davanti al loro dio, anziché di un contratto tra due persone. Inoltre, dato che i figli nati fuori dal matrimonio sono pesantemente condannati dalla Chiesa cattolica, qualcuno potrebbe ritenere che – permettendo ai cattolici di sposarsi – si incrementerà il numero dei matrimoni “riparatori” o volti alla semplice ricerca del sesso (proibito dalla loro religione fuori dal matrimonio), andando così ad aumentare i casi di violenza familiare e le famiglie problematiche. Bisogna però ricordare che questo non riguarda solo le famiglie cattoliche e che, siccome non possiamo metterci nella testa degli altri, non possiamo giudicare le loro motivazioni.
Inoltre, dire che non si dovrebbe chiamarlo matrimonio, ma in un’altra maniera, non è che la forma, invero un po’ meschina, di sviare il problema su questioni lessicali del tutto fuori luogo. Anche se cattolici, un matrimonio è un matrimonio e una famiglia è una famiglia! E con questa allusione alla famiglia, passiamo all’altro tema incandescente, che speriamo non sia troppo radicale: siamo anche favorevoli a che i cattolici adottino bambini. Qualcuno si potrà scandalizzare. È probabile che si risponda con un’affermazione del tipo: “Cattolici che adottano bambini?!? I bambini potrebbero diventare a loro volta cattolici!”.
A fronte di queste critiche, possiamo rispondere che è ben vero che i bambini figli di cattolici hanno molte probabilità di diventare a loro volta cattolici (a differenza dei figli degli omosessuali o degli informatici), ma abbiamo già detto che i cattolici sono gente come tutti gli altri. Nonostante le opinioni di qualcuno e alcuni indizi, non ci sono tuttavia prove che dimostrino che i genitori cattolici siano meno preparati di altri a educare figli, né che l’ambiente religiosamente orientato di una casa cattolica abbia un’influenza negativa sul bambino. Infine i tribunali per i minori esprimono pareri sulle singole situazioni, ed è precisamente loro compito determinare l’idoneità dei possibili genitori adottivi. In definitiva, nonostante l’opinione contraria di alcuni, credo che bisognerebbe permettere ai cattolici di sposarsi e di adottare dei bambini.
Esattamente come agli informatici e agli omosessuali.
Franco Buffoni
(da “Laico alfabeto in salsa gay piccante”, Transeuropa, 2010)