“Il grande passo” (oro su riso, Akab 2011)
Maggio è il mese dei matrimoni, ma è in autunno che si inizia a programmare la cerimonia. Per impedirvi di compiere la più madornale cazzata della vostra vita, Umore Maligno ha raccolto le testimonianze di alcuni partecipanti al gruppo di auto-aiuto “Never again”, attivo nell’ambito del programma di prevenzione dell’autolesionismo promosso dall’Azienda Sanitaria n. 69 “Adriatica”. Per saperne di più potete consultare il sito www.mancoperilcazzo.org.
The day(s) before
Il matrimonio è una pseudoscienza che si propone di tramutare qualunque troia succhiacazzi in una donna rispettabile. L’esperimento riesce parzialmente, in quanto la sposa smette effettivamente di succhiare il cazzo, ma solo quello del marito. Il quale perde così l’unica motivazione che giustifica la convivenza con una donna.
Per scongiurare l’inevitabile fallimento la maggior parte delle coppie si dedica alla procreazione, ottenendo in effetti un mutamento profondo della relazione. Alla convivenza con un essere incompatibile e detestabile si aggiungono infatti la totale privazione del sonno e la scoperta della merda come accessorio e complemento d’arredo. Checché se ne dica i figli rappresentano comunque un collante per la coppia: raccogliere il vomito di un teppistello tossicomane, rintracciare una clinica per fare abortire un’adolescente ninfomane, massacrarsi di straordinari per pagare le ripetizioni: tutte attività che occupano tempo che potrebbe essere più proficuamente dedicato a scopare la segretaria o farsi infilare dal panettiere. Obiettivi che vengono caparbiamente perseguiti nella maturità, quando i figli si levano dai coglioni o muoiono, incrementando i fatturati delle aziende produttrici di farmaci erettivi e cazzi di gomma, lingerie in similpelle e quant’altro possa rendere minimamente appetibile chiavare una vecchia.
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La mia compagna è molto cattolica, io no. Lei voleva sposarsi in chiesa perché è molto cattolica, io no. Abbiamo discusso a lungo su quale potesse essere la soluzione migliore. Lei, che ha una concezione della vita fortemente condizionata dall’essere cattolica, diceva che la cosa migliore sarebbe stata sposarsi in chiesa; io, che non sono cattolico, dicevo che la soluzione migliore sarebbe stata sposarsi in comune. Facevamo delle litigate feroci. Lei, in quanto cattolica, tentava spesso di provocare in me un forte senso di colpa. Io, che non mi sono mai identificato nei valori espressi dalla religione cattolica, me ne sbattevo i coglioni. Alla fine, però, su consiglio di un amico, abbiamo trovato la soluzione: il matrimonio misto. Lei si è occupata di organizzare il tutto: frequentando ambienti cattolici, non ha avuto problemi a trovare la chiesa e un prete disposto ad officiare una cerimonia mista. E alla fine è arrivato il giorno del matrimonio. Lei era splendida nel suo vestito bianco; io pure non ero niente male nel mio frac grigio scuro. Lei era visibilmente emozionata, i suoi genitori, che sono molto cattolici, continuavano a piangere. Io ero contento, perché sentivo che eravamo riusciti a trovare una soluzione che conciliasse visioni della vita così diverse. Insomma, sentivo anch’io un’emozione profonda, quasi riuscissi a cogliere appieno il significato che quel momento rappresentava per lei, per noi. Ma ancora oggi, a distanza di tanti anni da quel giorno, mi chiedo se non avrei potuto trovare un modo di esprimerle i miei sentimenti diverso dal sussurrarle nell’orecchio: “Diocane se sono felice”.
That’s the day
“Era una bella coppia, di quelle solide già ad una prima occhiata. Bella anche a vedersi. Caduta con un tris di Sette. Jack di merda”.
Uno convive da un po’ di tempo, le cose non vanno male, gli amici si sposano ed ecco che anche tu ti dici “Perché no?”.
Allora butti là qualche frase durante la cena, tanto per vedere se quell’investimento nell’anello ha senso. Ovviamente lei ti asseconda, le sembra un’ottima idea e poi, che cazzo, si sposano tutti. Ed ecco che, dopo aver strategicamente lasciato cadere il discorso per qualche tempo, vai in gioielleria, ché le cose o si fanno bene o non si fanno. Scarti i primi cinque anelli che ti vengono proposti e ripieghi su un anello di medio valore, non l’anello delle lattine, non l’anello che lei vorrebbe davvero. Ti metti la scatolina in tasca, prenoti un ristorante, ce la porti e ti illudi che lei non abbia capito già tutto, visto che di solito il massimo dove la porti è un ristorante messicano di dubbia qualità o Burger King.
Tiri fuori la scatola, due parole, sorrisi, lacrime, baci e abbracci. L’avventura ha inizio.
Con certosina precisione e maschia perseveranza stabilisci tutto per far quadrare legittime aspettative e budget risicato. Poi lei decide cosa vuole e tu ti adegui. Arriva il gran giorno: gli invitati, cresciuti in numero inversamente proporzionale alle persone che avresti davvero voluto vicino a te, ti sorridono, chi con in mano una busta, chi con in mano un candelabro o un piatto d’argento.
La cerimonia finisce, c’è il bacio, il riso, i piccioni che lo mangiano e poi muoiono, il ristorante, i brindisi, il piano-bar per far divertire i parenti più anziani, strette di mano e baci in quantità. Torni a casa sfinito con la tua lei, vi guardate, vi baciate e sapete già che non scoperete. Non importa, avete il resto della vita davanti.
Il giorno dopo lo passi stralunato a sistemare tutte le tue cose, a rispondere a messaggi e telefonate, “Sì, è state una grande notte” menti ammiccante. Dopodiché viaggio di nozze, qualche cena del ritorno per far vedere le foto del tuo matrimonio a persone a cui non gliene importa nulla ed ecco che ritorni alla tua vita di tutti i giorni, solo con la tua bella fede al dito. Anche lei ritorna alla stessa vita che conducevate prima. Praticamente non è cambiato nulla.
Ah, ecco, ora se la molli metà del tuo patrimonio è suo. Tanti auguri.
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“Deve essere il giorno più bello della mia vita”.
Me lo ripeteva in continuazione, ci teneva davvero tanto. Sicuramente aveva fantasticato su questo giorno nei minimi dettagli, compresi i contrattempi, da prima che ci conoscessimo. Chi ero io per negarle questa gioia? Solo uno dei tanti comprimari nel suo giorno più bello, ma in fin dei conti mi andava bene così, non avevo nessuna pressione. Ero molto stanco, non avendo chiuso occhio per tutta la notte, come da tradizione. Pensieri e sensi di colpa? Macché.
“Scopami duro stanotte, domani fra una cosa e l’altra non credo che ne avrai l’occasione”, mi aveva implorato, e io di certo non le avevo detto di no. Sono già in chiesa da un po’ quando arriva lei, bellissima, non so come faccia a sembrare fresca come una rosa. Camminando incrocia il mio sguardo e mi sorride, è solo un attimo, un attimo breve e intenso, mi fa sentire un gran calore dentro. Non riesco davvero a capire come facciano i cinici a negare l’esistenza dell’amore, di questo sentimento incredibile. Devono essere dei gran frustrati, poveretti.
La funzione scorre lenta e noiosa, finalmente si arriva al momento fatidico: le formule di rito, gli anelli, il bacio. A questo punto mi avvicino per gli auguri: lei è perfetta, lo sfigato del suo fidanzato, anzi, lo sfigato di suo marito è ancora completamente nel pallone, impacciatissimo, sudato. Mi avvicino e gli stringo la mano sorridendo.
Funzionerà, ne sono certo.
[1/Continua]