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L'amore, la carne, l'inferno

Creato il 08 novembre 2010 da Ilgrandemarziano
L'amore, la carne, l'infernoQuesto non è un libro. E non è nemmeno un romanzo. Dunque non è il racconto di una storia, vera, verosimile o presunta tale.
Questa è un'esperienza.
E se questo è quello che si vorrebbe da ogni lettura degna di questo nome, il lettore abituale sa che all'atto pratico questo non si verifica poi così sovente. Così, quando capita di imbattersi nel libro che fa vibrare le corde giuste, è piacevole lasciarsi andare a una specie di sensazione estatica, come di avere avuto il privilegio di aver assistito a un piccolo, inaspettato miracolo dell'arte letteraria. Ebbene, nel caso di quest'opera ciò è evidente fin da subito, perché Sangue di cane di Veronica Tomassini, primo titolo del neonato Laurana Editore, è qualcosa di potente come raramente accade di pescare in giro per gli scaffali, anzi, oserei dire di prepotente, perché per quanto tu tenti di opporre resistenza, lui ti prende (e non per mano, bensì per la gola, lo stomaco e il cuore) e ti trascina giù nei suoi abissi oscuri e ti costringe a viverli fino in fondo con la stessa disperazione dei suoi protagonisti.
Due persone. Un uomo e una donna. Due popoli. Italiani e polacchi. Una città. Siracusa. E un Amore. Il loro. Anzi il suo. Quello di lei. Talmente incondizionato, supremo, sconfinato, essenziale e indispensabile da sopravvivere allo sgomento di un viaggio negli inferi della vodka, della prostituzione, del vagabondaggio, del disadattamento alla vita, come una malattia cronica - o addirittura genetica - di un essere umano, ma forse anche di un intero popolo, che nelle quotidiane difficoltà di un'immigrazione più subìta che scelta, è incapace di percorrere la strada della normalità per più di qualche giorno.
L'amore, la carne, l'infernoMa quello che più d'ogni altra cosa colpisce dell'esordio nella narrativa della Tomassini e rende questo libro un piccolo gioiello letterario, è lo stile: forte e intenso, a tratti lirico, in altri momenti crudo e selvaggio, sempre assolutamente in sintonia con la vicenda che racconta, come una canzone hard-rock che non abbassa mai il volume e ti stordisce e ti trascina con sé, col suo ritmo forsennato, i suoi bassi che ti fanno rimbombare il cuore, il suo timbro sporco e le sue parole che ti succhiano via il sangue. Tra imprevisti squarci di luce e rovinose cadute nella melma, la Tomassini ci parla di una donna che insegue eroicamente (follemente?), per lei e il suo amore senza fine, una vita normale nella ricorrente metafora della casa, unico rifugio possibile per i corpi, ma anche per le anime, e per questo cerca di sfuggire alla persecuzione di un presente errante dai denti aguzzi e avvelenati, che sanno di vodka e sembrano non voler dare loro scampo alcuno. E per questo è disposta ad affrontare tutto, compresa la disperazione più totale, e a sfidare tutti, compresi i radicati pregiudizi di una terra intera e gli autorevoli biasimi di una famiglia per bene.
A rendere ancora più forte l'impatto emotivo sul lettore, è il punto di vista della narrazione, proprio quello della protagonista, perfetto per dipingere tutta l'intensità dell'esperienza soggettiva, come una memoria vivida, e dunque con le stesse modalità del ricordo che non sempre segue la linearità del tempo, ma che ha presente in ogni istante (e per questo a ogni parola lo restituisce) la furia e la vivacità dell'intero quadro d'insieme. Questo - va detto - a volte penalizza un po' la comprensione alla prima lettura, soprattutto nelle prime pagine, ma queste sono solo le sue mani che vi stanno prendendo per il bavero e stanno portandovi là sotto con lei. Quindi lasciateglielo fare, non ve ne pentirete.
L'incipit:
Marcin era morto. Io avevo i pidocchi. Cioè successe nello stesso momento, Marcin cagava sangue, stava morendo, beveva e cagava sangue. Io invece avevo prurito ovunque, dietro la nuca soprattutto. "C'hai la rogna", mi diceva Tano, il pescatore, l'amico di Ivona. Ma Ivona stava con Marcin e Marcin stava morendo perché cagava sangue.
Io stavo con Slawek, Slawek Raczinski di Radom, Polonia. Mi ci portò Slawek in quel posto di merda, una casa a due piani, zona residenziale, bordello con mignotte dell'est, cuscini a forma di cuore, camere personalizzate, condom personalizzati, fellatio personalizzate. I pidocchi li presi prima comunque.
Ero una ragazzina nei modi, e forse anche una donna. Perché avevo ventidue anni. Statura media, carina, sguardo acquoso, gambe fragilina, magre troppo magre, taglia seconda di reggiseno. Capelli lunghi. Scuri. Graziosi. Italiana. Di Siracusa.
Stavo con un polacco di nome Slawek, professione: semaforista.
Per saperne di più:
>Breve storia sulla "travagliata" pubblicazione del libro, su Vibrisse di Giulio Mozzi.
>Bellissima recensione di Francesca Matteoni con un altro estratto del libro, su Nazione Indiana.
Sangue di cane, di Veronica Tomassini (Laurana Editore)

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COMMENTI (1)

Da v
Inviato il 08 novembre a 10:28
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vorrei ringraziarti, con tutto il mio cuore...