“Ricordare oggi il 25 aprile significa prendere atto che nel nostro Paese la liberazione non è ancora compiuta, che non siamo più invasi da un esercito, ma da mali non meno micidiali. Mali che si chiamano corruzione, mafie, ingiustizie, disuguaglianze”: in una intervista sul Secolo XIX, don Luigi Ciotti rivendica il valore attuale della Resistenza e della Liberazione (“La Resistenza continui contro tutte le mafie”, del 24 aprile). Valore non solo storico ma fondante di una società democratica e proprio per questo ancora così vitale e urgente.
Un Paese non può definirsi libero se è ancora afflitto dai nostri livelli di disoccupazione e dalla povertà relativa e assoluta che tocca ancora milioni di persone, ha affermato don Ciotti aggiungendo che chi ha lottato per la liberazione di questo Paese, così come chi è rimasto vittima “delle mafie, del dovere, dei terrorismi”, non l’ha fatto per ottenere una targa ma “per una speranza di libertà e giustizia che tocca a noi realizzare”.
Ricordando gli avvenimenti drammatici di questi giorni, il fondatore di Libera ha proposto un paragone tra lo sbarco degli Alleati in Sicilia che rappresentava la promessa di un sogno di democrazia e gli sbarchi e i naufragi dei migranti che “rappresentano il naufragio anche di quel sogno”, dichiarandosi colpito dalle espressioni di chi recentemente ha voluto proporre “soluzioni” al problema: “pattugliamento”, “blocco”, “bombardamento”, tutti termini tratti dal linguaggio militare.
Inutile, ha continuato don Ciotti, scagliarsi contro le mafie “senza riconoscere che quel traffico di esseri umani nasce dal vuoto della politica, dalla mancanza di alternative”: chi rischia la vita su quei traghetti ha meno sicurezza degli schiavi che venivano prelevati dall’Africa, perché in quel caso la “merce” era pagata alla consegna, mentre adesso si paga in anticipo, “così se affonda la nave il portafiglio è salvo”. E in cambio, dopo essere fuggiti dalle guerre e dalla miseria, invece di trovare istituzioni pronte a proteggerli e ad assicurargli una destinazione dignitosa, trovano le mafie pronte a trasformarli in manodopera.
Il fattore economico resta purtroppo sempre al centro della diseguaglianza e della disparità sociale: “Finché il denaro continuerà a essere l’unità di misura della politica, il movente profondo della maggior parte delle nostre azioni, il nostro sarà sempre un mondo dilaniato da guerre e ingiustizie”, ha affermato il sacerdote, che ha concluso ricordando don Andrea Gallo, un “amico” che ha rappresentato “la Chiesa che non dimentica la dottrina, ma non permette che la dottrina diventi più importante dell’attenzione per gli ultimi, per i fragili, per i dimenticati”.
MC