Pregustavo il prossimo giorno, con l’ottimismo incosciente che hanno solo i ragazzi, ché non sanno cos’è il tempo e non se ne devono preoccupare.
Per me era fatto d’infinite fette sacrificabili, in cambio del piacere di ritorno. Inesauribile, nell’immenso delle sue probabilità.
Con questa convinzione, ho lasciato marcire desideri in mesi di silenzio: avrebbero dovuto triplicarmi il premio; ma imparavo che la voglia si gusta fresca, mentre profuma ancora di segreto.
Muffa, sono diventati i desideri migliori, nell’equivoco che m’ha fatto credere che l’attesa era il sacrificio che dovevo, al valore che avrei scartato. Ho scaldato minestre, convinta che il calore che infondevo loro, ne avrebbe conservato il sapore. Scotta, scoprire d’aver preso un abbaglio così ovvio: un’emozione messa via, quando la rispolveri, non è più piccante. E’ scaduta. Tiepida.
E non posso dimenticare le stanze della solitudine che ho lasciato libere per anni, per fare spazio a una grandezza che non ho ancora appurato. Mi ci sono persa dentro e quando ho trovato l’uscita, ho provato a riempirle di colori e forme, facce e voci, e mani, e bocche. Così la solitudine ha smesso di annoiarmi e mi diverte. Sa di me e delle persone che mi hanno attraversata. Mi assomiglia.
La solitudine sono io. E non mi spavento.
E poi, tutti questi numeri: 31 anni. Sei senza Palermo, 15 senza dire ti amo a quattr’occhi. Dieci, le volte in cui recentemente ho fatto l’amore con la delusione e due sole volte mi ha tenuto la mano, nella strada verso casa mia. Uno, il sogno. Cinque volte più grande della felicità che proverei a vederlo realizzarsi.
Sono solo numeri, non traguardi.
Sono io, tutti quei numeri e ora che lo so, non riesco più a fare i conti alla rovescia. Mi va il sangue in testa.
Adesso i miei giorni hanno questo valore maturo: non li sgrano pregando ritorni ragionati, novità attese, vittorie precotte.
Sono io, l’attesa.
Io sono il tempo. Tu sei dentro ai miei vestiti usati, nelle promesse taciute per scaramanzia. Sei dentro ciò che vedranno i miei occhi; sei nella mia bocca, che assaggerà un sapore, che ho quasi dimenticato. Ma è lì che sarai: fuori di me e dal tempo, intorno a me. Accanto.
Non so se vedrò quello in cui credo. Domani, oppure ieri l’ho visto e non me ne sono ancora accorta.
Ho solo imparato a non aspettare. A non cercare. Perché la mia bussola non funziona. Ho solo una fede calda.
Il resto deve ancora arrivare. Tutto deve ancora arrivare. Io, devo ancora arrivare.
Domani non sei tu, né lo spazio nuovo in cui sarò. Non è neppure una data. Domani sono io e ha già le rughe.
Domani è il mio palmo che toccherà qualcosa. E se non pungerà, sarà la volta buona.
L’anno nuovo sono io.
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