Riascoltando “Irata” per scrivere il post precedente, mi veniva da pensare a quanto, durante l’adolescenza, notassi e fossi di volta attratto, infastidito, urtato, disgustato o incuriosito dagli stili di vestiario/musica che vedevo esibire dai miei coetanei o da amici poco più che tali.
Ogni vero adolescente esprime infatti l’unicità e preziosa irripetibilità della propria persona, nonché la sua totale lontananza dalla massa conformista e pecorona che-segue-solo-le-mode aderendo a una comunità generazionale che presenta al suo interno esattamente quei caratteri di conformismo e aderenza cieca a una moda. Ma non è questo il punto, e poi non voglio prendermela con gli adolescenti, troppo facile [avvertenza: questo non me li rende meno molesti e/o fastidiosi].
Quel che volevo dire è che allora certe distinzioni fra varie tribù metropolitane mi sembravano perfettamente rispondenti a divisioni di censo (truzzi=ricchi o sottoproletariato), di opinioni politiche (sinistra=zecche), di tendenze caratteriali (depressione=gothic), di voglia di menare le mani (i gabber, che immagino si siano estinti uccidendosi a vicenda dalle parti del 2001) o ancora il semplice bisogno di trovare qualcosa di simile ad una chiesa (i metallari). Le puntuali liti alle scuole medie erano una specie di guerra simulata, l’affermazione di una separazione che sarebbe stata destinata a durare in eterno tra chi ascoltava un certo tipo di musica e chi un altro.
Invece no: poi si diventa grandi e alcuni -molti- dismettono quelle vesti. Nell’età adulta rimane solo la distinzione tra gli imbecilli (un’ampia maggioranza dell’umanità, che sospetto in via di progressivo allargamento) e tutti gli altri. Dalla parte sana c’era chi, in quel torno d’anni o poco dopo (1995-1997) comprò Mellon Collie and the infinite sadness, OK Computer e Linea Gotica (o al massimo recuperò qualche anno dopo). Dall’altra, temo, tutti gli altri.