L’anonimato online e il successo di Whisper
In un’epoca in cui abbiamo tutto, non conta più il “cosa” ma il “come”.
L’aveva capito Jeff Bezos, Presidente di Amazon, quando disse non si preoccupava per le iniziative di marketing della concorrenza: quello che temeva era che qualcuno potesse offrire un’esperienza di acquisto migliore.
Ed è esattamente ciò di cui dovrebbero preoccuparsi i social network, da Facebook a YouTube (= Google+), fissati con l’identità degli utilizzatori, che vanno sempre più in una direzione che non consente l’anonimato.
Il problema è che, soprattutto online, l’anonimato piace, e molto: la possibilità di esprimere se stessi fino in fondo, di rinunciare per qualche istante a quei filtri che il vivere di ogni giorno impone.
Su Facebook ci mettiamo la faccia, teniamo alla nostra immagine, mostriamo ciò di cui siamo più orgogliosi, ci fingiamo colti e con un’intensa vita sociale.
E per questo in tanti finiscono per abbandonarlo, e si rivolgono a strumenti che non li facciano sentire costantemente giudicati.
Come Whisper, una semplice app che permette, in pochi secondi, di condividere una foto sulla quale viene posizionato un testo.
Ad un anno dalla sua nascita, sta crescendo a vista d’occhio: 3 miliardi di pagine viste al mese da milioni di utenti, soprattutto ragazze di 17-18 anni.
La ragione di questo grande successo è, in primo luogo, l’anonimato.
Secondo quanto dichiarato dal fondatore 26enne Michael Heyward al Business Insider: “Tu sei quello che sei quando nessuno ti sta guardando”.
L’anonimato non solo ci consente di proteggere noi stessi, ma ci evita di ferire gli altri, concedendoci la tanto agognata possibilità di esprimerci liberamente.
Periodicamente Heyward insegna all’università. Durante una lezione ha chiesto agli studenti chi di loro fosse ancora vergine: nessuno ha risposto. Poi ha ripetuto l’esperimento con la classe bendata, e metà dei ragazzi presenti ha alzato la mano.
La “magia” dell’anonimato ha permesso a Whisper di collegare tra di loro non tanto le persone, quanto i loro pensieri ed emozioni.
Una sorta di psicoterapia di gruppo… del resto perché rivolgersi all’analista quando è possibile trascorrere le ore a sfogarsi gratis su un social network?