I fatti degli ultimi giorni hanno rivelato una combinazione preoccupante di memoria corta, malizia mediatica e legislazione emotiva. Il Laziogate ha scatenato la duplice turbolenza della trasparenza (“urge un water di vetro”, scrive oggi Altan con formidabile capacità di sintesi) e dell’urgenza della nuova legge anticorruzione, panacea contro il degrado dell’Italia. La trasparenza sta provocando alla regione Lazio un vortice comico di nomine postume di assessori e dirigenti da parte di una presidente dimissionaria che non si è mai dimessa, seguendo il fulgido esempio di Raffaele Lombardo. I governatori delle Regioni propongono tagli imponenti che non riguarderanno mai le amministrazioni in carica: amministrazioni trasparenti, giacché le ruberie sono limpidamente avvenute sotto gli occhi di tutti.
Sulla corruzione, invece, il coro di istituzioni e società civile pare unanime. Il premier parla di “inerzia non scusabile” di una parte politica. Napolitano definisce “vergognosa” la corruzione e sollecita l’approvazione rapida della nuova normativa di contrasto. Bersani riesce a parlare di corda in casa dell’impiccato con un appello all’esecutivo per la sollecita conclusione dell’iter parlamentare: «il mondo se lo aspetta, altro che articolo 18, e l’Italia se lo aspetta» (ma noi l’assassinio nell’articolo 18 mica ce lo aspettavamo dal Pd). Già si profila il voto di fiducia al Senato, unica via d’uscita dalle paludi parlamentari del porcellum.
Repubblica lancia in queste ore una raccolta di firme per l’approvazione del ddl anticorruzione, Don Ciotti dice “basta ladri” e l’immancabile Roberto Saviano ci catechizza snocciolando una serie di ovvietà imbarazzanti: la corruzione è il veleno che ammala la nostra democrazia, è incredibile che una legge invocata a gran voce dall’Europa e dalle forze politiche non sia stata ancora approvata, questa legge può essere una svolta per l’Italia, bisogna far vincere gli onesti.
Vado controcorrente: ho la memoria lunga e una naturale diffidenza sia per le leggi varate a furor di popolo, sia per quelle coniate a furor di Silvio. Il punto è proprio questo: da mesi sappiamo che il nodo cruciale del ddl anticorruzione non è la corruzione ma la riformulazione della concussione, che – nei termini sinora prospettati – consentirebbe a Silvio Berlusconi di emergere dalla pania del processo Ruby con l’oro della probabile abolitio criminis, l’incenso della prescrizione breve e la mirra della riduzione della pena. Sappiamo anche che già da un mese il Popolo della Libertà ha annunciato battaglia al Senato richiedendo con insistenza l’approvazione congiunta del pacchetto corruzione e della legge sulle intercettazioni. La determinazione dei falchi Pdl, unici superstiti di un partito allo sbaraglio, sembra implacabile: Cicchitto insiste nell’inserire la nuova versione della legge bavaglio nel calendario di ottobre della Camera e Gasparri ha confermato gli emendamenti soppressivi della norma sul traffico di influenze in vista della discussione al Senato.
Mentre mi chiedo con una certa preoccupazione cosa possa intendere Gasparri per traffico di influenze, noto coincidenze inquietanti. L’esplosione dello scandalo Lazio potrebbe condurre finalmente in porto leggi piene di zone d’ombra, prima condizionate da veti incrociati ma ora salutate come doverose: vitale la riforma della corruzione, ineludibile quella delle intercettazioni dopo lo scontro tra il Capo dello Stato e la procura di Palermo. Che le leggi in questione abbiano realmente elementi di efficacia e di ragionevolezza, per tacer d’altro, passa in secondo piano: in questo momento hanno valore simbolico, con imminenti riscontri elettorali.
A Saviano vorremmo dire una cosa: chi non firma l’appello per la nuova legge sulla corruzione non è necessariamente un disonesto. Ci sono anche gli scettici, i delusi, i preoccupati e gli utopisti. C’è chi crede che il dilagare della corruzione non possa essere frenato soltanto da norme penali, che peraltro già esistono e prevedono pene molto pesanti, ma da una nuova etica della responsabilità: da un rinnovamento radicale della classe politica, dall’incandidabilità dei corrotti e dei corruttori, dalla riscoperta della cosa pubblica e dalla scomparsa dei conflitti d’interesse. Sarebbe veramente intollerabile che, a furor di popolo e sotto l’egida della rinascita del Paese, venisse confezionata l’ultima delle leggi ad personam.
In queste ore il disegno di legge anticorruzione viene riscritto, emendato e negoziato per l’ennesima volta. Gli italiani, rabbiosi ma inerti, attendono. È forse prematuro dire cosa accadrà nelle prossime settimane, se sarà graziata la concussione o se le verrà inferto il colpo di grazia. Sono però convinta che, se Saviano in questo momento andasse a Madrid a dire che bisogna riscrivere la corruzione perché ce l’ha chiesto l’Europa, gli farebbero un appello così.