Rose Schlösinger viene ghigliottinata a Berlino il 5 agosto 1943, alle ore 19.21, nel carcere di Plötzensee. Arrestata il 18 settembre 1942, fu condannata a morte il 20 gennaio 1943 con l’accusa di spionaggio. Colgo l’occasione solenne della Giornata della Memoria, miei cari lettori, per rievocare una vicenda che affonda le sue radici nel mito per irrompere con prepotenza nella realtà della Germania nazista del secondo conflitto mondiale. L’eroina protagonista dell’omonima tragedia, rappresentata da Sofocle nel 442 a.C., violando un editto imposto dal re di Tebe, Creonte, dà sepoltura al fratello Polinice, spargendo terra sul suo corpo esposto alla mercé di cani e corvi. L’oltraggio è imperdonabile: il re ordina la condanna di Antigone e l’ allontanamento dalla città, che sfocerà nel suicidio della fanciulla. Questa, in breve, la trama di un mito che, nel corso delle epoche, ha trovato compiuta espressione in molteplici campi quali il teatro, il cinema e il racconto. A quest’ultima forma ricorre, infatti, nel 1963, il drammaturgo tedesco Rolf Hochhuth, dando voce a una vicenda realmente accaduta che del mito rispecchia le linee essenziali di sviluppo e, in particolare, il carattere della protagonista.
Berlino: An(tigo)ne viene accusata di falsa testimonianza perché afferma di aver portato via dall’Istituto di Anatomia il cadavere del fratello e di averlo sepolto nel cimitero degli Invalidi. Una pala e una carriola sottratte all’Università comproverebbero la sua dichiarazione, ma i becchini replicano di aver seppellito, fra gli altri, nella fossa comune, il corpo nudo di un giovane. Chi dice la verità? Il Generale, giudice del tribunale militare, tenta a ogni costo di salvare la vita della fanciulla fragile eppur coraggiosa di cui suo figlio Bodo è perdutamente innamorato. Ma perché un simile gesto? E quando e come Anne avrebbe trasportato e seppellito il cadavere dell’amato fratello? «Stese sul corpo il suo soprabito, lo sfiorò: il gelo del cadavere la fece impietrire; restò immobile per minuti, poi le lacrime la risvegliarono. Ora doveva coprirlo con la terra; fu presa da singhiozzi violenti, e guardò come si era ridotta: gambe, gonna, mani si erano completamente insozzate della terra umida. Riempì la tomba, senza mai riprender fiato. Solo quando, in ginocchio, riprese nuovamente a stendere l’erba, in un attimo di lucidità comprese che in fondo, dopo quell’incendio notturno, migliaia di persone se ne sarebbero andate in giro altrettanto sporche. Allora si calmò e continuò l’opera. Accuratamente stese la terra, quel che ne rimase la depose sotto i cespugli e premette forte con le mani il muschio». I gesti concitati, la paura, la guerra, il dolore: questo avrebbe raccontato a Bodo, nelle ultime righe scritte con mano tremante nello spazio ristretto di una cella dura e fredda, in attesa della fine. Poi, l’esecuzione: il capo rasato dei lunghi capelli biondi, un camicione a righe e un paio di sandali. Una vita spezzata con l’accusa di aver dato sepoltura a colui che era sangue del suo sangue. E altro sangue, e altre morti per rendere omaggio a un regime folle e fondato su leggi ‘umane’ lontane anni luce dalle leggi di Dio.
Questo il prezzo da pagare per una manciata di terra e coraggio? Questo il destino di coloro che hanno avuto l’ardire di andare contro? L’Antigone sofoclea porta il peso di una predestinazione; l’An(tigo)ne raccontata da Hochhuth, attraverso una prosa estremamente tesa e tragicamente toccante, porta unicamente il peso di un corpo al quale ha tentato di riservare, almeno nella morte, dignità e quiete. Lascio a voi, lettori, nel grigiore di questa giornata, il tentativo di far vostro un altro pezzo della grande storia, per non dimenticare e comprendere che anche il mito può condurci alla verità.
Alba Quarato
Rolf Hochhuth (a cura di Sotera Fornaro), L’Antigone di Berlino, Via del Vento Edizioni, € 4,00