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L'apartheid a Bujumbura

Creato il 12 settembre 2011 da Dragor

Apartheid-museum  A Bujumbura c’è il razzismo contro i bianchi. Fa parte della città come il caldo, la polvere rossa, i fiori, la miseria, l’Art Déco, gli ippopotami e le piante secolari. Dopo un po’ non ci fai più caso, lo metabolizzi e diventa routine. Lo riscopri quando torni dopo un po’ di tempo dall’Europa o dalla cosmopolita Kigali e lo saluti come un vecchio amico. Non lo sapevi, ma ti eri affezionato. Ti è entrato sotto la pelle.

   Da che cosa dipende il razzismo a Bojumbura? Secondo me è una questione di urbanistica. Negli anni Venti, quando hanno fatto il piano regolatore, i belgi hanno stabilito questa regola: fra i quartieri dei bianchi e i quartieri dei neri doveva esserci uno spazio libero di almeno 500 metri. Nel corso degli anni la pianta della città non è cambiata. Bujumbura è piena di queste savane cittadine dove la notte vanno a pascolare gli ippopotami sbarcati dal lago Tanganyka. Ci sono i quartieri dei bianchi e i quartieri dei neri. Mentre i neri possono andare nei quartieri dei bianchi, i bianchi non possono andare nei quartieri dei neri. Nessuna legge lo vieta, ma se ci andate, ci sono buone probabilità che un poliziotto vi porti al commissariato e vi faccia perdere mezza giornata bombardandovi di domande una più cretina dell’altra. E anche che uno sconsiderato con qualche birra di troppo nella pancia vi  prenda a botte.

   Il problema è che adoro passeggiare in quei quartieri. Mia moglie mi ha proibito di andarci, ma ci vado lo stesso. Sono ancora più interessanti del resto della città. Il più grande si chiama Bwiza ed è il Soweto locale. E’ enorme, ha una pianta a scacchiera come New York e anche le vie si chiamano come quelle di Big Apple: Prima Avenue, Seconda Avenue, Terza Avenue. E’ una città nella città nella città con i suoi bar, i suoi cinema, i suoi alberghi, i suoi negozi, le sue balere, non repertoriati in nessuna guida.  Per la maggior parte il quartiere è costituito da baracche, anche se non mancano le ville e le palazzine con qualche pretesa. E’ incredibile la fantasia con cui sono costruite queste baracche, vale la pena di vederle e leggere le loro insegne che decantano come palazzi principeschi delle catapecchie mai viste. La sera non c’è corrente elettrica e l’unica luce è quella dei fuochi per arrostire le brochettes. Non dimenticherò mai il riverbero dei fuochi e l’odore delle brochettes la sera a Bwiza. Mi attira come le note del pifferaio magico.

   Poi c’è Buyenzi, il più povero e forse il più cosmopolita. A Buyenzi trovi gente di ogni parte dell’Africa e una quantità di rifugiati dal vicino Congo. Buyenzi è il vero trait d’union fra la città e la campagna. A Buyenzi trovi baracche, sicuro, ma anche capanne. In ogni caso non mancano i soldi. La sera le donne di Buyenzi grondano oro come alberi di Natale.

   Poi ci sono Kamenge, Nyakkabiga, Ngagara, Cibitoke. Se li guardate bene, ogni quartiere ha la sua personalità. Ci vai a spasso e un tizio ti si mette davanti impedendoti il cammino. “Dove vai?” “Non t’interessa”, gli rispondi. “I bianchi non hanno il diritto di venire qui”, replica il tizio. Tiri un sospiro e ti accingi a metterlo al suo posto. “Che cosa diresti se in una città europea qualcuno ti dicesse che i neri non hanno il diritto di andare là?” “Direi che è razzista”, risponde il tizio con un sogghigno furbesco. Bravo, ha ingoiato l’esca, l’amo e anche il tappo. “Allora sei razzista”, lo informi. A questo punto il tizio fa una figura del cavolo, il gruppo che si è raccolto intorno si mette a ridere e t’invita a bere la birra. Di solito mi va così, però una volta abbiamo fatto a botte.

   A Bujumbura non si trovano giornali, come vent’anni fa le informazioni te le dà il boy al ritorno dal mercato. “A Kamenge si picchiano”, ha detto. Nemmeno a farlo apposta, sono dovuto andare a Kamenge per accogliere mio cognato che era arrivato con l’autobus da Kigali. Ho visto una baracca bruciata e stesi sul terreno due corpi dall’aria non molto viva. Qui ci sono ancora gli Hutu e i Tutsi, non c’è l’unione nazionale come in Rwanda. Kamenge è una roccaforte dei ribelli Hutu del   e ogni tanto  ci scappa il morto.  Ho fatto per scattare una foto, ma un militare mi ha strappato l’apparecchio di mano e se lo è messo in tasca.

  Dragor


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