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L’Aquila ibernata

Creato il 11 agosto 2013 da Lundici @lundici_it

Ci volevo andare.

Nonostante le parole scoraggianti di amici e conoscenti abruzzesi (“Ma che ci andate a fare??!” “E’ tristissimo, un colpo al cuore!” “Se ne stanno andando tutti!”) e nonostante avessi la sensazione di essere quella che sa che sta per fare harakiri, ma vuol comunque provare l’effetto che fa.

L’Aquila ibernata

Piazzetta del Carmine

Inoltre, a quattro anni “suonati” da quel 6 aprile 2009,  volevo vedere con i miei occhi i risultati della tanto decantata risoluzione dell’emergenza-terremoto a tempo di record, dato che ormai quasi tutto pare esser caduto nell’oblio (anche se ammetto di non guardare i telegiornali da un bel pezzo, quindi almeno su questo punto potrebbe trattarsi di una mia mancanza).

Per una volta quindi, avremmo rinunciato ai bagni in mare in favore di una gita sull’Appennino abruzzese.

Passato il traforo del Gran Sasso con il pensiero rivolto alla mai dimenticata fisica honoris causa Maria Stella Gelmini, alle porte di L’Aquila ci aspettava già il primo acquazzone, che non facilitava certo il nostro peregrinare casuale verso il centro città.
Per di più le strade erano deserte e all’orizzonte non si vedeva nessuno a cui chiedere indicazioni.
Sempre senza avere la minima idea di dove fossimo (le mappe, queste sconosciute), abbiamo lasciato l’auto nel primo parcheggio disponibile, cioè il primo che abbiamo incontrato (anche i parcheggi erano deserti), e ci siamo infilati nel primo bar aperto, per di più da solo tre giorni: un bel messaggio di speranza da recapitare a chi disperava!

L’Aquila ibernata

la sede della Guardia di Finanza

Allora non è tutto immobile come dicono!

Avremmo scoperto solo in un secondo momento di esserci imbattuti in una fortunata eccezione…

Terminata la pioggia ci siamo incamminati verso quello che immaginavamo fosse il centro storico della città.

A poco più di cinquanta metri dal “nostro” bar, la musica e le (poche) voci lasciavano, ad ogni passo, progressivamente spazio al silenzio.
Abbandonata quasi subito la strada maestra, ci siamo addentrati nelle viuzze laterali: calcinacci, transenne sbattute a terra (da qualcuno che voleva passare “per forza”?), porte e finestre semiaperte o divelte.

Da quel momento iniziava il nostro vero viaggio dentro L’Aquila.

L’Aquila ibernata

la Chiesa di Santa Maria Paganica vista attraverso Vico Cavalieri di Malta, da Piazzetta della Commenda

Passo dopo passo, gradualmente il volume delle nostre voci continuava ad abbassarsi, fino al punto in cui sembrava che anche solo il nostro sussurrare ci disturbasse, quasi fosse una mancanza di rispetto verso quel luogo e i suoi abitanti. Eppure non c’era nessun altro intorno a noi, neanche all’orizzonte. Nessun animale domestico, forse qualche uccellino.

Poco dopo, all’improvviso un tuono: dalle orecchie alle viscere.
Ci mancava anche questa.
Il sole ci omaggiava ancora della sua presenza, ma i suoi raggi erano malati e minacciati da nubi plumbee e rapide.

Nonostante questo, il nostro cammino proseguiva comunque, passando dalla Chiesa di Santa Maria Paganica, alla Torre Civica e a Palazzo Margherita.

Nel tentativo di immaginare l’antica bellezza di questi luoghi, l’unica parola che avevo in mente e che ripetevo come fosse una litania era “terribile”.
Terribile che una manciata di secondi avesse sconvolto la vita di una città e di centinaia di persone: niente più casa, niente più ufficio, niente più lavoro. Soprattutto, niente più famiglia, perlomeno quella di prima.

L’Aquila ibernata

la chiesa di Santa Maria Paganica

Era ed è onestamente impossibile immedesimarsi fino in fondo in chi ha vissuto una catastrofe simile, nonostante l’empatia e l’immaginazione. Si può solo ringraziare il cielo di essersi trovati da un’altra parte, in quel momento.

E’ stato lungo Corso Umberto I che abbiamo incontrato per la prima volta altri esseri umani: due o tre coppie di turisti e una camionetta dell’Esercito Italiano. Fa impressione pensare che questi militari vengano impiegati ogni giorno, da quattro anni, fondamentalmente per vigilare su possibili sciacallaggi. Per quanto andranno avanti ancora?

Perché qui, in questi edifici abbandonati e sorretti da esoscheletri in ferro, alcune porte sono chiuse da lucchetti, ma tante altre sono spalancate e, con l’aiuto di quella poca luce che s’intrufola, vi si può almeno sbirciare dentro: mobili fatti a pezzi, libri aperti caduti in malo modo sul pavimento (che tentazione quella di entrare a “salvarli”!).

L’Aquila ibernata

via Paganica

Poco prima dell’arrivo di un nuovo temporale e della nostra decisione di tornare sui nostri passi, abbiamo fatto in tempo a sostare davanti all’università: oltre non si poteva andare. Alla mia sinistra, in fondo alla discesa, da lontano mi è sembrato di riconoscere la casa dello studente, anche se non ne sono sicura perché l’ho vista solo in televisione, parecchio tempo fa. Altro brivido. Mi hanno raccontato che “prima” L’Aquila pullulava di giovani, in gran parte universitari.

Dopo qualche minuto, mentre ci allontanavamo dalla città in auto, al riparo dalla pioggia, mi è parso di intravedere quelle nuove abitazioni del progetto C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili) tanto celebrate come simbolo di efficienza e impegno governativo dall’allora Presidente del Consiglio. Un vero peccato, questo temporale: avrei voluto vederle da vicino.

Cosa abbiamo portato a casa da questa esperienza?

Ovviamente tanta amarezza.
Sulla strada del ritorno, per un bel po’ di minuti il clima silenzioso e riflessivo è perdurato dentro e tra di noi.

L’Aquila ibernata

l’Università

Non ho abbastanza strumenti per raccontare nei dettagli cosa è stato fatto e - soprattutto - cosa no, negli ultimi quattro anni.

Il mio obiettivo è stato “fotografare” la situazione attuale de L’Aquila per come si presenta  agli occhi di chi non la vive quotidianamente ma che vorrebbe saperne di più.

Questa città appare come la rappresentazione “in piccolo” del nostro Paese: una realtà ormai a pezzi, ibernata, abbandonata a se stessa, che cerca di sostenere la facciata (l’Italia la faccia l’ha già persa) rattoppando qui e là e costruendo surrogati scenografici ma di dubbia sostanza.

Nella frustrante e forse obbligata attesa che qualcun altro dia inizio a disgelo e ristrutturazione.

Mi farebbe piacere se qualche aquilano volesse raccontare il suo punto di vista e se avesse delle buone nuove da raccontarci.

L’Aquila ibernata
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