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l’aria del post-adozione

Creato il 07 giugno 2010 da Ubik

l’aria del post-adozione

Dopo qualche tempo che siamo rientrati in Italia e dopo alcune situazioni critiche ci siamo posti la domanda che ogni famiglia adottiva si pone dopo aver adottato: sarà meglio farci aiutare? E generalmente si finisce per approdare a qualche gruppo “post-adozione”. Per iniziativa propria o su consiglio dei servizi sociali. Nel nostro caso sia per nostra decisione  che i servizi ci hanno orientato in tal senso e per qualche tempo EvaK ha partecipato. Un gruppo gestito bene e nella norma: psicologi a moderare il gruppo ed educatori a giocare e quindi ad osservare i bimbi.

La nostra partecipazione è durata poco per una serie di motivi che cercherò di spiegare brevemente e che secondo me rivestono una certa importanza. Finire in un gruppo di genitori post-adottivi significa entrare in un ambiente dove ognuno riporta la sua esperienza e le dinamiche che si trova a vivere in quel particolare momento e per gradi diversi: chi ha adottato da poco, chi da molti anni, chi ha figli neonati, chi grandicelli e questa eterogeneità forse può anche aiutare, ma il dubbio e la  distanza si è creata per via dell’aria respirata.

Molte persone che vi partecipano si trovano bene e però l’aria che si respira è quella dell’autoreferenzialità e ci è sembrato che gli assidui (che poi sono quelli che danno una forma e un linguaggio: uno spirito di gruppo) piace pensarsi ancora interni al mondo dell’adozione.

Se da una parte la condizione è “ontologica”: si è genitori adottivi, dall’altra bisogna dire che ogni giorno si è sempre più genitori e un pò meno adottivi. Ma succede in alcune realtà che ci si predispone a reiterare la propria esperienza, forse per eccessivo attaccamento ad una esperienza durata qualche tempo, facendone il fulcro e il motivo del proprio modo di essere. E’ come se dopo aver adottato non si volesse uscire e fare i conti che si è genitori a tutti gli effetti e ci si compiace di essere adottivi. Curiosamente gli stessi sostengono e rivendicano con una certa passione la normalità come condizione necessaria per procedere e identificarsi così con le altre famiglie.

Per noi invece era utile cercare una realtà che potesse rispondere (insieme ad altri, condividendo) ad alcune domande e difficoltà, per accorgersi piuttosto che le coppie frequentano per anni parlando -più o meno- di sè come famiglia “adottiva”. Vivere una esperienza intensa e unica nella propria vita, forse, porta queste persone a viversi così: fissi nel tempo, legati unicamente a quel momento e in assoluta buona fede.

Francamente è una prospettiva che non mi piace perchè non la condivido. L’obiettivo è il superamento dell’esperienza, dopo averla elaborata e superata. L’adozione l’ho vissuta come il modo che abbiamo avuto per completare la nostra famiglia e non come il passaggio da un modo ad un altro di essere come persone e genitori. Evitando quel reducismo che sminuisce la varietà di ogni persona riducendola a quella esperienza.

Questo non significa rimuovere che il modo in cui si è diventati genitori:  è l’accogliere una vita in corso con il suo carico di sofferenze e dramma, e semmai lo sforzo è quello di far riguadagnare ai propri figli uno spazio di serenità, venuta dopo una storia che sarà anche nostra, ma che non si può fissare per sempre e che invece procede, si evolve, si arricchisce, conosce, si allarga, si perde integrando, riaffora. Ma sempre nella nuova famiglia. Sempre più famiglia e sempre meno “adottiva“.

PS: l’immagine di Bianca & Bernie non è casuale e mi piacerà tornarci. I nostri figli ogni tanto chiedono di rivedere il primo: straordinario film che parla di adozione e che da forma al trauma del maltrattamento sui minori. Colpisce e commuove non poco.


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